Oggi 2 aprile 2025, ventesimo anniversario della salita al padre di Giovanni Paolo II , il papa venuto da lontano.
Il suo pontificato, quello di un santo, può essere ricordato sotto tantissimi aspetti, legati al suo lungo e ricco ministero, a me piace ricordarlo dal mio punto di vista, quello di un fedele qualunque, che ad un certo momento della vita incontra, nelle pieghe della propria esistenza, il magistero di papa Wojtyla, attraverso la parola, la gestualità, gli sguardi, una stretta di mano.
E si perché io c’ero quella sera di lunedì 16 ottobre del 1978, in piazza San Pietro ad aspettare che arrivasse la fumata bianca, c’ero stato anche nei giorni precedenti senza successo.
Quel lunedì con il mio vespino 50 special, insieme a Maria Luisa ci eravamo precipitati in piazza fiduciosi, guardando il comignolo, mentre alle nostre spalle, in una classica sera da ottobrata romana, si stagliava una splendida luna, quella sera non poteva non accadere.
E così è stato, la fumata bianca tra gli applausi della folla è arrivata, si cominciano a vedere le luci accese nelle stanze alte della basilica, si intravedono i cardinali salutare.
In cuor mio speravo che il prescelto fosse il cardinale Pappalardo, ma quando udimmo scandire il nome di Wojtyla, ci sentimmo tutti presi in contropiede, incapaci di comprendere.
Solo quando il nuovo papa dice, a proposito della lingua, “se sbaglio mi corrigerete” scatta un applauso liberatorio, un applauso accogliente che abbraccia il nuovo pontefice.
Ed io c’ero ancora ai suoi primi Angelus, la domenica, quando in una occasione spiega perché salutava sempre con “sia lodato Gesù Cristo”, ricordando che fu’ quella l’espressione che Pio XII pronuncio quando lo incontrò a Roma, sapendo che veniva dalla Polonia.
Io c’ero ancora quando l’8 dicembre del 1978 Giovanni Paolo II riceve in udienza, in aula Nervi, l’Università Cattolica a conclusione delle celebrazioni per i cento anni della nascita di padre Agostino Gemelli, e ai presenti ricorda che il nostro compito è quello di “mostrare coi fatti che l’intelligenza non solo non è menomata, ma ch’essa è anzi stimolata e fortificata da quella sorgente incomparabile di comprensione della realtà umana, che è la Parola di Dio.”
C’ero quando passa a salutare i docenti e me, seduto con loro, come rappresentante degli studenti in consiglio di facoltà, c’ero quando ho incontrato il suo sguardo e la sua forte stretta di mano.
C’ero quando convoca la diocesi di Roma affacciandosi dal balcone centrale per invitarci a spendersi per l’imminente referendum sull’aborto ed eravamo pochissimi.
C’ero quando una certa intellighenzia cattolica, in sintonia con la Repubblica di Scalfari, si ostinava a chiamarlo Wojtyla, a rimarcare la distanza, culturale, dal nostro mondo occidentale, che non poteva comprendere.
C’ero quando subisce l’attentato e piango e prego per lui, chiave di volta del suo pontificato con il sigillo di Maria che devia quella pallottola confermandolo nella sua storica missione.
C’ero quando si ricovera la Gemelli per la neoplasia di cui viene operato.
C’ero quando riceve gli Ospedali religiosi dei fatebenefratelli, insieme a mia figlia Maria, e lui stanco, ammalato, si illumina vedendo la bambina, chiedendole il nome.
C’ero quella notte a Tor Vergata, quando parlando al cuore disse a me che era Cristo che cercavo nella mia inquietudine.
C’ero quelle sere, in piazza San Pietro, sotto la sua finestra, in quei giorni di fine marzo primi di aprile di quel 2005.
C’ero il giorno del suo funerale, quando il vento sfoglia la bibbia, posta sulla sua bara, alla ricerca di una Parola che consoli il cuore di milioni di fedeli, accorsi per l’ultimo saluto.
Provengo dalla scuola di Don Bosco il quale invitava i propri allievi alla fedeltà al Papa, “condicio sine qua non” per essere cattolici, indipendentemente di chi fosse, ed è vero.
Io dico comunque grazie papa Wojtyla perchè
mi hai accompagnato per ventisette anni, con il tuo magistero, la tua teologia, la tua filosofia, la tua umanità, nei momenti facili e difficili della vita, con misericordia, mostrandomi l’unica verità che conta, l’unica via che schiude le porte del cielo, dell’infinito, “aprire senza paura il cuore a Cristo”.
Failla Giuseppe
Grazie Pino,
Hai perfettamente messo in parole i tuoi sentimenti!
Sentimenti che approvo e che anche io posso dire con gratitudine al Signore di aver vissuto e farti miei per sempre.
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