La guerra civile del partito democratico (Usa)

Attualità & Cronaca

Di

di Raffaele Gaggioli

Sono passati quasi quattro mesi dalla vittoria di Donald Trump alle elezioni presidenziali del 2024, ma il Partito Democratico non sembra essersi ancora ripreso dalla sua schiacciante sconfitta.

In tutti gli Swing States, ossia gli Stati americani in cui è impossibile prevedere se vincerà il candidato repubblicano o quello democratico, ha prevalso Trump, permettendogli così di essere il primo candidato repubblicano a vincere il voto popolare dal 2004. La Harris ha invece vinto negli Stati tradizionalmente democratici come il New Hampshire, il Minnesota e la Virginia con appena 2 o massimo 5 punti percentuali di vantaggio rispetto al suo rivale (nelle precedenti elezioni Obama e Biden vinsero in questi Stati con un vantaggio di circa 10 punti percentuali).

Trump è riuscito anche a trovare sostegno tra alcune categorie sociali che normalmente tendono a votare per il Partito Democratico. E’ riuscito infatti ad ottenere il 46% del voto dei latino-americani, il primo candidato repubblicano ad ottenere un simile risultato dal 2004, e ha lievemente aumentato la sua percentuale di voti da parte di afro-americani e donne rispetto alle elezioni del 2016 e al 2020. Al contrario, la Harris non è stata in grado di mobilitare la base elettorale democratica, ottenendo percentuali di voto da parte di studenti universitari e afro-americani nelle zone rurali decisamente inferiori rispetto a quelle dei suoi predecessori.

I democratici stanno quindi cercando di capire chi è il vero responsabile di questa sconfitta. I primi ad essere incolpati per quanto successo sono stati Joe Biden e Kamala Harris. Secondo i critici, Biden si è ritirato dalla corsa alla Casa Bianca troppo tardi e questo ha impedito ai democratici di organizzare le necessarie primarie per trovare un candidato adatto alla situazione. Allo stesso tempo, Harris è stata accusata di aver gestito male la sua campagna elettorale, non riuscendo a distanziarsi dagli aspetti più impopolari o controversi della amministrazione di Biden come la guerra in Gaza o l’incremento dell’inflazione.

Una parte crescente di democratici ha però iniziato ad incolpare l’intera leadership del partito, sostenendo che il continuo supporto per le posizioni economiche centriste abbia oramai inevitabilmente alienato la classe lavoratrice americana. I leader democratici sono stati inoltre accusati di non stare prendendo seriamente la minaccia per la democrazia americana rappresentata da Trump, rifiutandosi di contestare o ostacolare la sua agenda politica in qualsiasi modo.  

Il malcontento dei progressisti era già iniziato lo scorso dicembre quando la rappresentante della Camera Alexandra Ocasio Cortez si era candidata inutilmente come nuova possibile leader del Comitato di vigilanza della Camera, organo istituzionale con il compito di vigilare sull’operato del Presidente. AOC è una dei più giovani e popolari membri dell’ala progressista del partito democratico, ma al suo posto fu nominato Gerry Connolly, politico centrista settantaquattrenne alleato di lunga data dei leader democratici attualmente in cura per un cancro alla gola.

Le tensioni interne al partito sono scoppiate ancora una volta settimana scorsa durante il discorso dell’Unione di Trump. Il politico democratico Alexander Al Green è stato espulso dal congresso per aver protestato ad alta voce contro i tagli alla sanità pubblica voluti da Trump ed è stato poi sottoposto ad un voto di censura, ossia una dichiarazione formale di disapprovazione. A causare lo scontro è stato il rifiuto della leadership democratica di difendere Al Green e il fatto che dieci membri democratici del congresso abbiano votato a favore della punizione.

Lo scontro sembra aver raggiunto il punto di non ritorno a seguito dell’approvazione del nuovo budget federale voluto da Trump che prevede ampi tagli alla sanità pubblica e ad altri servizi sociali per finanziare la riduzione delle tasse a favore di Elon Musk e di altri milionari/miliardari americani. Buona parte dei democratici nel congresso erano pronti a causare uno shutdown (un arresto delle attività governative non essenziali) per impedirne l’approvazione, ma Chuck Schumer, leader della minoranza democratica nel senato, ha annunciato che lui e altri dieci senatori avrebbero votato a favore del budget per impedire che un possibile blocco del governo avrebbe potuto diminuire ulteriormente la popolarità del partito.

La sua decisione è stata però aspramente criticata sia dai progressisti, sia dai democratici più centristi, al punto che si sta ora discutendo apertamente di trovare un nuovo candidato in grado di sostituire Schumer come leader democratico del Senato e anche come senatore dello Stato di New York.

Anche Tim Walz, ex compagno di corsa di Kamala Harris, sembra intenzionato ad incrementare la pressione sulla leadership democratica. Walz ha criticato apertamente la gestione della campagna elettorale di Harris, in particolare la sua riluttanza ad appoggiare idee progressiste, e ha già annunciato una serie di viaggi e di visite in Stati tradizionalmente repubblicani per incontrare elettori insoddisfatti per la politica economica di Trump in vista di una sua possibile candidatura per la Casa Bianca nel 2028. 

Un timore diffuso tra i democratici più progressisti è che la leadership democratica stia tentando di spostare il partito ancora più a destra nella speranza di attirare più finanziatori e sottrarre elettori a Trump.  Questa strategia non sembra però stare producendo risultati incoraggianti, dato che secondo gli ultimi sondaggi il partito democratico ha un indice di gradimento di appena il 27%.

Raffaele Gaggioli.

 

 

 

 

 

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