Moby Dick al Teatro Quirino

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Il romanzo di Melville in scena a Roma con la regia di Guglielmo Ferro

Al Teatro Quirino di Roma, dal 1 al 13 aprile, va in scena Moby Dick, trasposizione teatrale dell’opera di Herman Melville, diretta da Guglielmo Ferro. L’adattamento di Micaela Miano affronta la complessità del romanzo con un’impostazione che privilegia il confronto tra i personaggi e la dimensione simbolica della vicenda, mantenendo un equilibrio tra narrazione e riflessione filosofica.

 

Al centro dello spettacolo c’è il personaggio di Achab, cui dà vita Moni Ovadia. Figura tragica e ossessionata, Achab incarna il desiderio di dominio sull’ignoto e il rifiuto di ogni limite imposto dalla natura o dalla morale. Il suo antagonista, Starbuck, interpretato da Giulio Corso, rappresenta la voce della prudenza e della fede. Il loro confronto mette in scena l’opposizione tra hybris e misura, tra l’arroganza e il principio dell’equilibrio e della moderazione: da un lato, la sfida cieca e distruttiva ai limiti imposti dalla realtà, spinta dall’illusione di onnipotenza; dall’altro, la consapevolezza che l’uomo, per quanto ambizioso, deve riconoscere il valore dei confini impressi dalla natura, dalla morale o dalla saggezza, per non soccombere alle proprie ossessioni.

 

Ovadia, attore e drammaturgo di lunga esperienza, è noto per il suo lavoro sulla cultura ebraica e sul teatro di narrazione, spesso intrecciato a tematiche sociali e filosofiche. La sua presenza in Moby Dick aggiunge una nuova profondità al personaggio di Achab, mettendo in evidenza la complessità della sua natura. Achab emerge così come un soggetto diviso tra follia e lucidità, tra il rifiuto del suo destino e la consapevolezza di non poterlo sfuggire.

 

L’adattamento, con le scenografie di Fabiana Di Marco, i costumi di Alessandra Benaduce e le musiche di Massimiliano Pace, pone l’accento sulla dimensione metaforica della caccia alla balena, che diventa il viaggio di un’umanità alla deriva, spinta da pulsioni autodistruttive e dalla continua ricerca di un senso, che rimane però inafferrabile.

Nell’odissea del Pequod la coralità dell’equipaggio ha un ruolo centrale (ph Riccardo Bagnoli)

La messinscena si concentra sull’odissea del Pequod come progressiva discesa verso l’inevitabile, scandita da tempeste, avvistamenti e rituali, in cui la coralità dell’equipaggio assume un ruolo centrale. Figure come Queequeg, Tashtego, Stubb e Fedallah sono parte di una comunità sospesa tra superstizione, obbedienza e paura, che si muove al ritmo della volontà incrollabile di Achab.

 

Il romanzo ha conosciuto diverse trasposizioni teatrali, da quelle più essenziali, che ne hanno esaltato la componente allegorica, a versioni più spettacolari. Tra le più celebri si ricordano l’adattamento di Orson Welles del 1955, in cui lo stesso Welles interpretava Achab, in una messa in scena stilizzata e fortemente simbolica, e quello di Laurie Anderson del 1999, che ha offerto una lettura multimediale e sperimentale dell’opera. Più recentemente, compagnie come Lookingglass Theatre di Chicago hanno proposto una versione fisica e immersiva della storia, enfatizzando la dimensione corale e la potenza visiva del racconto.

 

L’adattamento di Miano si mantiene fedele alla dimensione tragica del testo, senza enfatizzarne gli elementi epici o avventurosi. Il cuore dello spettacolo rimane il conflitto tra Achab e Starbuck, che si riflette in un conflitto più ampio tra l’illusione del controllo e l’insondabilità del destino.

 

Moby Dick, in definitiva, si presenta come un’opera che non si limita a raccontare la caccia alla balena bianca, ma che esplora le tensioni più oscure che animano il romanzo di Melville, restituendone tutta la complessità e il carattere universale.

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