“Rivedemolo strano” – Viaggi di nozze 30 anni dopo, tra risate, una vena malinconica e verità

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Al Teatro Petruzzelli di Bari pieno fino all’ultimo posto utile e con la coda fuori sin dalle otto di questa mattina, si è svolto un incontro speciale nell’ambito del Bif&st 2025. In occasione della retrospettiva dedicata a Carlo Verdone, è stato proiettato Viaggi di nozze, seguito da un intenso confronto con il regista e attore romano e con l’attrice Claudia Gerini. Un dialogo che è andato ben oltre la semplice celebrazione, toccando corde profonde tra malinconia, memoria e visione artistica.

Viaggi di nozze (1995), più che un film, è un ritratto stratificato dell’Italia di fine millennio. Tre coppie, tre viaggi, tre fallimenti emotivi: Verdone utilizza la lente grottesca della commedia per raccontare il vuoto affettivo e culturale che percepiva nel Paese. “Volevo raccontare un vuoto pneumatico, un degrado malinconico”, ha detto emozionato davanti alla platea. Quel vuoto è incarnato da personaggi iconici come Ivano e Jessica, che – paradossalmente – si dicono solo 18 frasi in tutto il film. Frasi essenziali, secche, ripetute. Ma tra tutte, una è entrata nella memoria collettiva: “Famolo strano”, espressione simbolica di una disperata ricerca di emozioni in un rapporto al capolinea.

Claudia Gerini, al suo esordio cinematografico, trova in Verdone un’intesa creativa istantanea. “Ci capivamo al volo”, ha detto, ricordando con affetto le improvvisazioni sul set, nate senza copione, con la spontaneità di chi sa leggere l’altro. Jessica, la “tamarra” per eccellenza, è un personaggio cucito su di lei come un vestito di scena. Ironica, energica, eppure fragile. La scena del bigliettino al ristorante, in cui Ivano tenta goffamente di ri-corteggiarla, è una delle più poetiche: dietro il riso, emerge la solitudine. “Quanto è vecchia ’sta città” dice Jessica a Firenze, e in quel giudizio istintivo c’è una giovinezza che si scontra con la stanchezza di vivere.

A trent’anni dalla sua uscita, il film non solo regge, ma risuona. Verdone ha ricordato con orgoglio come Viaggi di nozze abbia anticipato molti tratti della società contemporanea: la solitudine mascherata, le famiglie disfunzionali, l’omologazione culturale. “Oggi certi dialoghi non si potrebbero più scrivere – ha detto – il politicamente corretto ne cancellerebbe la forza espressiva.” Eppure, proprio per questo il film è una testimonianza irripetibile di un’epoca.

Tutti i film di Verdone – e Viaggi di nozze non fa eccezione – sono venati da una malinconia sottile, spesso nascosta nei finali. Un comico che non si limita a far ridere, ma che mostra il dolore dietro il sorriso. La Gerini ha parlato di omologazione: “Ci hanno tutti formattati.” Ed è vero, i personaggi verdoniani sembrano cercare disperatamente una voce in un mondo che li vuole muti e uguali.

Verdone ha condiviso il dolore per i colleghi scomparsi troppo presto, come Troisi, Francesco Nuti ed Eleonora Giorgi. Eppure guarda avanti, con speranza e con la saggezza di chi sa cosa serve per durare: studio, visione, fatica. “Chi vuole fare cinema deve studiare come un professore di lettere studia le lettere.” Lui lo ha fatto, guardando e assorbendo i maestri: Fellini, Germi, Antonioni, De Sica, Monicelli.

In sala, ha ricordato anche la figura immortale del caratterista, spesso più memorabile del protagonista. Un richiamo al cinema di Pietro Germi, dove i volti di contorno diventano colonna portante del racconto. E ha denunciato con amarezza la scarsità di investimenti nel cinema indipendente: “Con pochi soldi, la qualità crolla.”

Claudia Gerini, oggi attrice matura e produttrice in divenire, si è raccontata con la freschezza di chi ha ancora voglia di giocare. “Amo il cinema come una quindicenne”, ha detto. Si dichiara insofferente agli stereotipi, desiderosa di cambiare pelle, di esplorare nuovi ruoli. E ha riconosciuto a Verdone il merito di averle fatto scoprire una parte nuova di sé: l’attrice comica.

“Dopo trent’anni siamo sempre strani,” ha sorriso Verdone, in un momento di sincera complicità. E forse è proprio questa stranezza che rende i suoi film così autentici, così universali. Perché nella stranezza c’è il non detto, c’è il disordine, c’è la vita.

Il pubblico del Petruzzelli ha restituito tutto questo con un lungo applauso. La fila iniziata alle sette del mattino era un gesto d’affetto, certo. Ma anche di riconoscenza. Perché Viaggi di nozze non è solo una commedia. È uno specchio. E, oggi più che mai, è ancora capace di riflettere il nostro disincanto e la nostra voglia di emozionarci.

Massimo Longo

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