Mauro Atzeri: Le belle conversazioni equestri pt 2
“E’ la natura del cavallo che ci impone di capire le sue esigenze e di garantirne loro il rispetto. In
America negli anni ‘80 quasi tutti i cavalli della squadra americana erano purosangue. Gli scarti
delle corse spesso. Quindi cavalli molto nevrili, di grande sensibilità, e da qui la necessità di
montare in modo molto fine e sensibile perché è nato tutto attorno a questi cavalli. Pensa Touch of
Class ha fatto 10 corse in piano prima di essere scartata perché troppo lenta. Quindi secondo me il
motivo di questo sistema americano che era già avanti sotto certi aspetti è derivato da questi
fattori; ripeto gli spazi all’aperto, l’attenzione alle loro esigenze e soprattutto una grande Cultura di
cavalli, che non è solo equestre.”
Che cosa possiamo fare ancora per il benessere del cavallo?
“Montare bene! Impostare un sistema che continua a migliorare le persone giovani. In America non
ci sono le patenti per montare a cavallo ma c’è un sistema ben radicato, tutti parlano lo stesso
linguaggio, si insegnano le stesse cose. E come le insegnano ai giovani? Attraverso le categorie a
giudizio, le “equitation”. E tutto è basato su quello, ci sono vari livelli e si parte già dai ponies. I
giovani vengono giudicati sullo stile e poi si sale nei vari livelli di difficoltà in una progressione
incredibile. La correttezza del montare bene, fluido, nel movimento ma soprattutto nella armonia
con il cavallo. Quindi se vogliamo veramente parlare di benessere dobbiamo anche preoccuparci
di migliorare noi stessi tutti i giorni quando montiamo a cavallo.”
Cosa si può fare per garantire che certi requisiti legati al benessere del cavallo siano diffusi
ovunque, secondo te?
“ Io penso che dovrebbero esserci certe regolamentazioni che aiuterebbero molto, alla stregua di
quello che hanno fatto altre nazioni, e devi farlo, ci sono controlli. Non credo che sia difficile
recuperare degli spazi per i paddoks, per lasciarli fuori a mangiare il fieno, per lasciarli godere il
sole, per stare all’aria aperta, non è che ci vogliono chilometri; potrebbero andare a rotazione fuori,
ma ci vuole una regola per poter avere una scuderia. Altrimenti come facciamo?… teniamo questi
animali nel box, nella giostra e poi se sono fortunati escono con qualcuno sulla schiena che gli dice
dal primo momento che gli sale sulla schiena dove andare, cosa fare, e come farlo. E’ questa la
libertà che gli concediamo? Capisci che siamo messi male.
A tuo avviso cosa si può fare per tradurre in azioni concrete una programmazione della formazione
che metta un denominatore comune all’insegnamento ai giovani?
“ Ho fatto 30 anni di esperienza in un paese in cui vedi che c’è uniformità di insegnamento, ti
affacci in un campo prova e lo vedi subito, se ti affacci in un campo prova in Italia lo vedi che uno
è diverso dall’altro, non c’è una uniformità di insegnamento. A mio avviso questo fa capire che
abbiamo perso il contatto con l’eccellenza, e a mio avviso, si dovrebbe radunare tutto ciò che c’è
rimasto di persone di eccellenza in Italia, in modo che si possa dare un po’ di educazione in
generale, perché io trovo che non adesso ma in questi ultimi 20 anni è stato fatto un disastro a
livello istruttori, hanno immesso nel mercato delle persone che non hanno un’esperienza prima di
prendere quel diploma, e il discrimine non può essere il pagamento di una quota per superare
l’esame. Così abbiamo creato mediocrità. E non riesco a capire perché è stato fatto questo che ha
creato prima di tutto danni ai cavalli e poi anche ai giovani. La soluzione secondo me è che si
dovrebbe intervenire prima che le eccellenze italiane scompaiano. Molti giovani non sanno di non
sapere, così come alcuni istruttori non sanno di non sapere. Ti faccio un esempio in America c’è
una cosa che favorisce il mantenimento di questo sistema, ed è che sei abituato ad essere
giudicato. Noi questa cosa l’abbiamo un po’persa, dobbiamo fare in modo che i giovani rimangano
“educabili”, infatti ci sono dei ragazzi che non sono più recettivi alla educazione equestre. Lo sport
in generale ci insegna che l’obiettivo è migliorare sempre, facendo attenzione a ciò che facciamo
tutti i giorni quindi nel montare correttamente, ad usare gli aiuti correttamente, a programmare il
lavoro rispettando i tempi di lavoro, la progressione, ma chi ce lo deve insegnare se non le
eccellenze?”
“Ora ti racconto una cosa di Joe Fargis, che rende quello bene ciò che intendo per “migliorarsi.
Una volta ho visto Joe che teneva le redini a piene mani (driving rain) e gli ho chiesto “Jo perché lo
fai? Perchè sto cercando di migliorare il mio polso perché finchè lavoro in piano va bene poi fa
cose strane. Vorrei soffermarmi su questo punto: aveva già 3 medaglie olimpiche al collo! Quella è
umiltà. E dopo che aveva vinto la medaglie quando veniva in Italia a Roma, una volta ultimate le
gare si consultava sempre con Raimondo D’Inzeo. E quando andava davanti al Colonnello, si
toglieva il cap, e gli chiedeva cosa ne pensava.Magari non ne avrebbe avuto bisogno ma quella è
educazione equestre, quello è rispetto di chi ha esperienza. Altro esempio di educazione equestre,
di voglia di imparare, di abitudine ad essere giudicati, è quello di Beezie Madden; la mattina
George Morris le montava i cavalli, lui aveva 75 anni, e certamente lei avrebbe fatto un lavoro
migliore di lui ma stava lì in mezzo al campo alle 6.30 di mattina a guardare lui che gli lavorava i
suoi cavalli. La domanda è, noi ce l’abbiamo ancora questa educazione equestre, questo desiderio
di imparare? Siamo pronti ad essere umili così? In Italia abbiamo davvero delle eccellenze per
esempio i nostri grandi cavalieri di alto livello, ma tutti noi ce l’abbiamo questo desiderio di
continuare a migliorarci?
Ringrazio davvero perché ho avuto la fortuna di lavorare per decenni con persone di successo,
grandi Uomini di cavalli, ma soprattutto realmente umili.
Clara Campese