Mentre l’Ungheria recita l’eterno dissenso e l’Italia prenota caffè con Trump, Bruxelles tira fuori la spada di Damocle da 25% sui biscotti a stelle e strisceLa Commissione Europea approva dazi punitivi contro gli Stati Uniti. Orban mugugna, Parigi trema, Meloni vola. È l’Europa delle contraddizioni che prova a sembrare unita… quando nessuno guarda.
L’attualismo di Gentile, versione eurocrate
Nel perfetto spirito dell’attualismo gentiliano, l’Unione Europea non conosce leggi universali, ma solo atti dello Spirito in divenire. E cos’è più attuale di una bella rappresaglia tariffaria? In nome della coscienza comune—che cambia ogni tre settimane e risiede tra Bruxelles e Strasburgo—l’UE si è autorappresentata in un atto di volontà collettiva: “dazio, dunque esisto”. Un gesto alto, quasi tragico, se non fosse che tutti i parlamentari presenti avevano già prenotato le ferie in Florida.
Fomentazione o spregiudicatezza?
In apparenza, l’Europa pare reagire con fermezza a un’aggressione commerciale. Ma sotto sotto, chi fomenta chi? Washington reintroduce dazi, Bruxelles risponde: sembra la versione in tailleur e cravatta del litigio tra sorelle gelose. Più che uno scontro tra giganti, una serie Netflix di vendette passive-aggressive. E mentre si alzano le barriere doganali, dietro le quinte ci si scambia ancora tweet di circostanza. La spregiudicatezza non è più quella degli sceriffi texani: oggi indossa l’eleganza del multilinguismo e ha un badge della Commissione.
Moralismo economico o barlumi di genio?
L’UE, nel suo aplomb moralistico, ci tiene a dirci che “non è vendetta, è giustizia commerciale”. Che poi, quando il riso diventa arma di ritorsione e il tabacco simbolo di dignità europea, ci si chiede se davvero il raziocinio non abbia lasciato spazio a un genio contabile in crisi esistenziale. Del resto, colpire i corn flakes statunitensi potrebbe rappresentare il nuovo Rinascimento economico del Vecchio Continente. Oppure solo l’ennesimo modo per scoprire che gli americani non mangiano più cereali da dieci anni.
Solidarietà tirannica (o tirannia solidale?)
L’Europa si stringe attorno al principio della “decisione a maggioranza”, sinonimo elegante di “facciamo finta che siamo d’accordo, ma Orban può urlare nel vuoto”. La tirannia della solidarietà europea funziona così: se non sei con noi, sei comunque con noi, volente o nolente. Il voto contrario dell’Ungheria non vale quanto un francobollo non timbrato. È una democrazia postmoderna, dove il dissenso esiste ma non incide. In pratica, un brunch domenicale tra cognati che si odiano.
L’ossimoro del dialogo bellico
Mentre impone dazi con la mano destra, l’UE porge la sinistra con un rametto d’ulivo. “Vorremmo dialogare”, dice Bruxelles con tono grave, mentre carica le catapulte. È l’arte della guerra firmata Yves Saint Laurent: colpire con stile, ferire con tatto, esigere rispetto mentre si dichiara che in fondo si è disposti a “negoziare per una soluzione vantaggiosa”. Una pace armata, ma con gli hashtag giusti.
Meloni all’incrocio del Potomac
E mentre in Europa si combatte la battaglia dell’orgoglio tariffario, Giorgia Meloni è pronta a sorseggiare tè ghiacciato con Donald Trump. Coincidenza? Diplomazia parallela? O prequel della miniserie “Fratelli d’Occidente”? In Francia, intanto, soffia il mistral della paranoia: e se l’Italia cede al fascino della Casa Bianca? Se la Meloni diventa la nuova Evita dei rapporti transatlantici? È chiaro che la visita a Washington sarà più seguita della finale di Champions. Col rischio, tuttavia, che finisca in pareggio.
Il grande spettacolo della piccola unità
Nel teatrino delle alleanze, la parola d’ordine resta una sola: unità. Unità apparente, plastificata, evocata nei comunicati e nei tweet ufficiali. Unità da salotto buono, quella che regge finché non arrivano i conti da pagare o gli inviti alla Casa Bianca. Con ogni Stato membro pronto a difendere la propria posizione fino all’ultimo biscotto Oreo, l’Unione mostra il volto fiero del leone… ma con la dentiera collettiva.
Conclusione?
L’UE risponde, si difende, si divide e intanto annuncia al mondo: noi ci siamo. Anche se ancora non sappiamo bene chi siamo.