La settimana santa richiama a giorni di penitenza anche alimentare, pesce e vegetali sostengono la tradizione romano-cristiana.
Tra barbari e romani c’era stato uno scontro anche di tradizioni alimentari, la cultura del pane, del vino e dell’olio (simboli della civiltà agricola romana) si mescolò con la cultura della carne e del latte, del lardo e del burro (simboli della civiltà ‘barbarica’, legata all’uso della foresta più che alla pratica dell’agricoltura).
Il diffondersi della religione cristiana favorì obblighi di alternanza alimentare, legati al calendario liturgico che scandiva lo scorrere del tempo, distinguendo i giorni e periodi di grasso (quando mangiare carne era consentito, o addirittura raccomandato come segno della festa) dai giorni e periodi di magro (quando la carne si doveva sostituire con cibi vegetali o tutt’al più con latticini, uova, pesce).
La cipolla è associata alla penitenza quaresimale, come testimonia l’iconografia della Quaresima, raffigurata nelle sembianze di una vecchia miserabile e affamata che porta cibi poveri come l’aringa e la cipolla. Lo ricorda anche Antonio Pucci, un poeta fiorentino del XIV secolo:
Di quaresima poi agli e cipolle
e pastinache sonvi e non più carne
siccom’a santa Chiesa piacque e volle.
Il cavolo è un altro protagonista dei periodi di magro essendo anche sinonimo di «cosa priva di valore» in molte comuni espressioni, come per esempio: «Non vale un cavolo», «Non ti do un cavolo», e così via.
Gli spinaci fecero parte dei menu serviti ad Alfonso il Trovatore il 13 e il 14 maggio del 1281, il quarto giovedì di Quaresima del 1183. Tra i piatti raccomandati durante la prima metà del XIV secolo per i pranzi quaresimali. figura il pesce fritto con spinaci .
Olandesi e fiamminghi lo mangiavano durante la Quaresima con il burro, disapprovato dalla Chiesa per la sua origine animale, ma usato per mancanza di olio d’oliva.
Umberto Palazzo
Editorialista de IlCorriereNazionale.net