Con l’inasprimento dei dazi contro la Cina, Donald Trump non ha soltanto dichiarato guerra commerciale, ma ha lanciato un monito sistemico che affonda le sue radici in decenni di errori strategici dell’Occidente. Quello che molti osservatori si ostinano a leggere come un gesto muscolare o isolazionista, è invece la risposta chirurgica – seppur brutale – a un ordine globale che ha premiato chi ha sfruttato il gioco meglio di chi lo ha inventato.
Negli ultimi trent’anni, l’industria manifatturiera statunitense ha conosciuto una parabola discendente. Le imprese americane, spinte dalla logica del profitto immediato e da una visione miope della globalizzazione, hanno delocalizzato in massa verso la Cina, attratte da una combinazione letale per l’economia interna: bassi salari, scarsa regolamentazione e una popolazione altamente educabile. Ma non solo: insieme alla produzione, gli Stati Uniti hanno esportato conoscenze, tecnologie, brevetti, competenze industriali. Hanno cioè fornito a Pechino tutti gli strumenti per diventare, in pochi decenni, il più temibile concorrente sistemico dell’Occidente.
La Cina ha così polverizzato il mercato globale. Non solo ha saturato la domanda di beni a basso costo – erodendo interi settori industriali in Europa e America – ma ha saputo scalare la catena del valore, passando da semplice assemblatore a produttore di tecnologie avanzate, come nel caso del 5G, dell’intelligenza artificiale o delle batterie per veicoli elettrici.
Trump, con i suoi dazi, non fa altro che cercare di rimettere in discussione questa dinamica. È un tentativo di reindustrializzazione forzata, uno schiaffo al paradigma neoliberista che ha separato il sapere dal fare, lasciando all’America i servizi e regalando alla Cina l’hard power industriale. Certo, la via dei dazi è rozza, costosa, conflittuale. Ma forse era l’unico strumento rimasto per richiamare l’attenzione su una deriva che sta svuotando le economie occidentali dall’interno.
La chiave ora è l’Europa. L’amministrazione Trump sa bene che una guerra commerciale su due fronti – contro Pechino e contro Bruxelles – sarebbe insostenibile. Il vero obiettivo è isolare la Cina, costringendo l’Occidente a ricompattarsi attorno a una nuova alleanza industriale e commerciale. In questo scenario, la cooperazione transatlantica potrebbe rappresentare il contrappeso strategico necessario per ridimensionare il dominio cinese e ristabilire una geoeconomia più equilibrata.
Il messaggio di Trump, al netto della sua retorica abrasiva, è chiaro: o si torna a produrre, o si finisce sotto padrone. E se l’America vuole davvero “tornare grande”, dovrà farlo con le mani sporche di olio industriale, non solo con le dita sui touch screen.
Trump contro l’egemonia cinese nel mercato globale
Last modified: Del 18 Aprile 2025 alle ore 15:28