Un classico reinterpretato per un pubblico digitale e interconnesso
La nuova edizione di Jesus Christ Superstar, in scena al Teatro Sistina di Roma, per la regia di Massimo Romeo Piparo, è una riscrittura visiva e sonora di un classico del musical rock, che affonda le sue radici in un’estetica anni Settanta, ma si proietta verso una forma di spettacolo pensata per un pubblico contemporaneo, sempre più interconnesso e digitale.
Il primo elemento che colpisce è la forza evocativa della colonna sonora, in grado di sbloccare memorie collettive. Negli anni ’80, non era raro ascoltare i 33 giri in cuffia nelle biblioteche pubbliche: un vissuto personale, ma intenso, che oggi si riconfigura nella fruizione condivisa e multimediale del teatro. La versione originale, con la sua impronta rock psichedelica, rimane un riferimento stilistico imprescindibile. Brani come Heaven on Their Minds e Superstar richiamano strutture musicali che rimandano all’immaginario dei Doors, con atmosfere cupe, a tratti visionarie. Le influenze dei Pink Floyd e dei primi King Crimson si avvertono nell’uso di armonie sospese, nei passaggi dilatati, nella volontà di fare della musica un viaggio anche spirituale.
In scena, l’orchestra dal vivo diretta dal Maestro Emanuele Friello restituisce in modo coerente queste suggestioni sonore. Il lavoro di direzione e l’esecuzione si rivelano solide, attente ai cambi di scena e capaci di sostenere il tessuto vocale e drammaturgico senza mai sovrastarlo.
Il linguaggio scenico secondo Piparo
In questo contesto si inserisce la lettura di Piparo, che nelle sue note di regia invita a “non cercare significati nascosti”. Eppure, è proprio nella stratificazione di segni e linguaggi che si costruisce il senso di questa messinscena. Il lavoro che si svolge sul palco si configura come un laboratorio continuo, in cui testo, musica e azione scenica si ridefiniscono a vicenda. La regia, pur partendo da codici noti, si spinge verso territori non del tutto codificati e affronta il “mistero” della vicenda evangelica non in chiave dogmatica, ma come interrogativo aperto.
Il punto di maggiore interesse sta nel livello della comunicazione. Piparo adotta un linguaggio visivo che si innesta su quello musicale, senza mai sovrapporsi. Il fondale del palcoscenico è dominato da un grande ledwall, che non è un semplice elemento scenografico, ma un vero e proprio strumento narrativo. Le immagini, le traduzioni, i versetti, i riferimenti simbolici proiettati non interrompono il flusso dello spettacolo, ma lo accompagnano, lo amplificano, lo commentano.

Feisal Bonciani, in un momento dello spettacolo, è Giuda (ph USS)
Si tratta a tutti gli effetti di un’esperienza visiva, ma non per questo priva di radici. La scelta di rendere essenziali gli elementi scenici richiama l’estetica d’avanguardia degli anni ’70, ma qui riformulata in chiave moderna. L’effetto non è straniante, ma coerente a una drammaturgia che si articola su più livelli di lettura. L’ensemble, composto da ballerini, acrobati, trampolieri, mangiafuoco contribuisce a questa dimensione estetica e determina un continuo intreccio tra sviluppo drammatico e linguaggio corporeo.
Un musical per il pubblico di oggi
L’operazione abbraccia diversi linguaggi espressivi (cinema, televisione, social media) senza cedere a mode effimere. Piuttosto, cerca di restituire la complessità della storia attraverso una pluralità di registri e di codici. Jesus Christ Superstar nella versione di Piparo segna un’evoluzione del modo di fare teatro tradizionale. Il suo obiettivo è rivolgersi a uno spettatore che crea e condivide contenuti grazie a piattaforme avanzate e interconnesse. La sua visione è quella di un happening che mixa la magia dell’arte scenica con le potenzialità delle nuove tecnologie.
Un esempio di questa fusione è la ripresa in diretta, all’esterno del Sistina, di Giuda e del corpo di ballo, trasmessa sugli schermi e poi rimandata sul grande schermo interno. Un effetto che restituisce la sensazione di essere allo stesso tempo in televisione, al cinema e in teatro.

Beatrice Baldaccini (Maddalena) e Luca Gaudiano (Gesù) – ph Gianluca Saragò
Dal punto di vista musicale, il cast, per la prima volta dopo 11 anni tutto italiano, si distingue per una cura particolare nell’assegnazione timbrica dei ruoli. I personaggi non sono sagome simboliche, ma figure complesse, caratterizzate vocalmente secondo precise scelte artistiche. E’ un’opera, rock, ma un’opera. Caifa (Davide Tagliamento) è un mezzo baritono, Hannas (Mattia Braghero) utilizza il falsetto, Pilato (Claudio Compagno) ha l’impostazione di un crooner, Erode (Luca Buttiglieri) si presenta come una drag queen. Giuda (Feisal Bonciani) richiama lo stile vocale del primo Ian Gillan, mentre Simone (Giorgio Adamo) rimanda per intensità e registro a Greg Lake, dei primi King Crimson.
Una menzione speciale a Luca Gaudiano, nel ruolo di Gesù, e a Beatrice Baldaccini, in quello di Maria Maddalena. Entrambi si distinguono per una qualità vocale che va oltre gli schemi tradizionali. Il loro timbro, la loro intonazione, la loro presenza scenica sfuggono a qualsiasi definizione accademica e rendono credibile ogni passaggio del racconto.
In conclusione, questa versione di Jesus Christ Superstar non è soltanto un omaggio a un classico del musical, ma una riflessione sul teatro stesso, sulla sua funzione nel contesto attuale, sulla necessità di generare un coinvolgimento che sia non solo emotivo, ma anche cognitivo e sensoriale. È un teatro che mette lo spettatore in ascolto e in visione, restituendo attraverso la forma scenica quell’inquietudine che attraversa il nostro presente e ne costituisce, forse, l’unico punto fermo.