ἰοίην
“che io possa andare oltre”
Frammento numero 182, l’unica parola rimasta di una poesia di Saffo.
E’ con questa parola così carica di speranza che voglio rompere il silenzio del sabato Santo e provare ad interpretare la Pasqua, il cui significato etimologico, d’altronde, è proprio “passare oltre”. Più che con una spiegazione prettamente teologica, vorrei farlo con un aneddoto di vita vissuta.
Alla morte della mia dirimpettaia, la nipote ha deciso di lasciarmi in dono le sue piante. Io, conscia dei miei precedenti, molto mestamente ho accettato, confessando la mia gratitudine ma anche la mia debole propensione al giardinaggio.
Col passare dei giorni guardavo il mio balcone e pregavo affinché potessi dare degna maternità a quelle piante, ricordo di quella tenera signora dall’aspetto debole e mesto.
Anna era molto legata a quelli che lei chiamava i suoi ”morticini”. Certo la storia dei membri della sua famiglia non si contraddistingueva per longevità e lei era l’highlander che teneva viva la memoria di tutti quelli che l’avevano preceduta.
Erano lì, nella sua cucina, tutt’attorno ad un quadro sovrastante il tavolo da pranzo, a ricordarle la sottile linea tra la vita e la morte così come la cornice del quadro lo divideva, a fatica, dalla superficie del muro.
Loro erano sempre lì, lei era sempre lì cercando di andare oltre ma ferma come una statua di sale, alla maniera della moglie di Lot, condannata dal suo voltarsi indietro piuttosto che guardare avanti.
Se ne è andata spegnendosi piano piano, abbandonandosi all’idea di raggiungere i suoi. Se ne è andata pochi giorni dopo il mio matrimonio dopo che con un flebile sospiro e degli occhi magicamente luminosi come non li avevo mai visti, mi aveva detto: ”sei molto bella sai?”.
Parole che forse avrebbe voluto sentirsi dire tante volte, da quel padre andato via presto, quella madre accudita fino all’ultimo, da quel fratello debole e bisognoso di cure, da quella sorella brutalmente strappata via alla vita da un brutto male e quel marito volato in cielo davvero troppo prematuramente.
Quelle parole lei le lasciava a me così come ora sono io la custode delle sue piante.
Piante di una forza impressionante che più volte ho pensato di aver fatto morire e che, invece, puntualmente, mi hanno sorpreso.
Da un anno ormai, ogni volta che guardo fuori al mio balcone le sue piante sento come una voce:
Possa tu andare oltre, possa tu avere la forza di una calla che rinasce dalle sue stesse ferite, che resiste, pur sembrando ormai finita, per poi sbocciare quando è pronta, quando è il suo momento.
Bello, toccante.