È morto ieri Papa Francesco, il Papa venuto “quasi dalla fine del mondo”. E con lui se n’è andata l’ultima voce credibile di un’umanità che ancora sapeva parlare ai margini, agli ultimi, ai dimenticati.
Nelle ore successive alla sua morte, le bacheche si sono riempite di frasi commosse, immagini struggenti, dichiarazioni d’affetto. Ma dove erano tutte queste voci quando, in vita, veniva isolato, deriso, lasciato solo perfino dentro la propria Chiesa?
Un Papa scomodo. Perché aveva il coraggio di parlare di povertà senza indossare l’oro. Perché condannava la guerra mentre il mondo armava eserciti. Perché parlava di migranti non come “problemi” ma come figli. Perché osava porre domande invece di distribuire risposte confezionate.
Lo hanno fatto piangere da vivo. E ora lo piangono da morto.
La verità è che Francesco è stato un Papa politico, sociale, spirituale, ma soprattutto umano. E proprio per questo, profondamente solo. L’ipocrisia più grande, oggi, è fingere che questa solitudine non ci sia mai stata.
Chi oggi lo onora, ieri lo ha isolato. Chi oggi ne incensa la memoria, ieri temeva le sue parole. E chi ieri gli voltava le spalle, oggi si accoda al corteo del lutto, con l’ipocrisia di chi non ha saputo riconoscere la luce finché era accesa.
Papa Francesco non è stato perfetto, ma è stato vero. E in un mondo che ha fatto della finzione la sua moneta corrente, la verità resta l’unico scandalo che non si perdona.
Nel suo ultimo Angelus, pochi giorni fa, disse:
“Siate artigiani di pace, anche se vi chiameranno ingenui.”
Non era ingenuità. Era rivoluzione.
Ma come ogni rivoluzionario, lo hanno compreso solo quando non poteva più parlare.
Gabriel Natticchioni