© foto di SSC Bari
Al Tombolato va in scena l’ennesima pagina amara di una stagione nata male, proseguita così così e finita peggio per il Bari, che conferma la sua vocazione storica a far risorgere gli avversari in crisi. Il Cittadella, penultimo e senza vittorie casalinghe dal 29 dicembre, ritrova ben gol (non segnava in casa da due mesi) e punti proprio contro i biancorossi, che si presentano con l’ennesimo undici rimaneggiato e una formazione rivoluzionata ancora una volta da Longo. Un Bari in emergenza (fuori Radunovic, Benali, Maita, Bellomo e Longo) e incapace di trovare stabilità tecnica, tattica e mentale.
Eppure il primo tempo non è tutto negativo. Dopo un’occasione iniziale per Favilli, impreciso davanti a Kastrati, il Bari gioca con discreta intensità, anche se il Cittadella si mostra più motivato e aggressivo. Pissardo è attento su conclusioni di Pavan e Palmieri, mentre il Bari costruisce un paio di buone occasioni, in particolare con un colpo di testa di Lella e un destro velenoso di Falletti. Alla mezz’ora arriva il vantaggio biancorosso: Dorval, al quarto assist stagionale, serve Favilli che insacca sporco ma efficace. Poco prima del riposo, Oliveri colpisce una traversa clamorosa. Si va negli spogliatoi con il Bari avanti e con la sensazione che si possa portare a casa un risultato importante.
Ma nella ripresa riemerge il vero volto della squadra di Longo: quello molle, disordinato, incapace di reagire, quasi ci sia un tacito accordo nel non voler vincere, perchè quella è la sensazione e perchè non è possibile assistere ad una gara sconcertante come quest’altra. Appena entrato, Rabbi firma subito il pareggio sfruttando un cross di Carissoni. Il copione si ripete: avversari in crisi che trovano linfa vitale proprio grazie al Bari. Il Cittadella insiste, segna ancora con Rabbi ma l’arbitro annulla per un fallo. Poco cambia: i veneti prendono coraggio, il Bari si rintana e smette letteralmente di giocare. Longo, o meglio Migliaccio, inserisce Lasagna e Novakovich al posto di Favilli e Bonfanti, ma i nuovi entrati non spostano nulla. Il Bari arretra, subisce, si scioglie.
Al 70’ arriva il sorpasso: Palmieri, anche lui – guarda caso – al primo gol stagionale giusto per non smentire la vocazione nel rianimare i moribondi, si infila tra i centrali baresi e firma il 2-1 su cross di Salvi. L’unico lampo biancorosso lo regala Lasagna, che segna su assist di Maggiore, ma il gol viene annullato per un suo fallo di mano. Entra anche l’equivoco Gaston Pereiro per un Maiello nervoso e impreciso, ma tanto per cambiare il suo apporto è nullo e la squadra non dà mai l’impressione di poter reagire.
Il Cittadella, sulle ali dell’entusiasmo, chiude i conti con Pandolfi, altro subentrato decisivo. Finisce 3-1, ed è una sconfitta che pesa non solo per la classifica, ma per il modo in cui arriva: una resa totale. Il Cittadella pesca dalla panchina fame e voglia, il Bari solo il vuoto. Pereiro, Maggiore, Novakovich: nomi che non incidono, che non cambiano l’inerzia di una gara, né il destino di una squadra che si è smarrita.
La prestazione del Bari è la sintesi di un’intera stagione sbagliata: senza continuità, senza identità, senza cuore. Dopo un primo tempo dignitoso, i biancorossi si dissolvono. Longo cambia ancora modulo e uomini, ma il risultato è sempre lo stesso. Una squadra povera in tutto: tecnica, carattere, organizzazione, spirito.
La corsa ai playoff ora appare più come un’illusione che una possibilità concreta. E forse, la verità è che il Bari questi playoff non li merita. Anzi senza il forse.
Il copione era già scritto, e il finale scontato: bastava aspettare il Bari per far risorgere anche l’agonizzante Cittadella. È accaduto puntualmente, come accade da sempre, da centodiciassette anni, da una proprietà all’altra, da un allenatore all’altro, da una maglia all’altra. I protagonisti cambiano, la sceneggiatura resta: quando c’è da rianimare i moribondi, il Bari c’è sempre, puntuale, generoso, pronto. A Cittadella, penultima in classifica e incapace di segnare in casa da due mesi, bastava poco: il nulla del Bari per ritrovare motivazioni, coraggio e perfino gol da subentrati che nemmeno ricordavano più la via della rete.
E dire che già contro il Pisa si era intuita l’illusione, l’ennesima. Avevamo scritto che quella vittoria era solo uno specchietto per le allodole, mascherava la verità: il Pisa non giocava più, e il Bari si era illuso. La realtà è quella vista a Cosenza, a Carrara e confermata a Cittadella: una squadra povera tecnicamente, scarica atleticamente, fragile psicologicamente e priva di orgoglio. Una squadra che, davanti a un’occasione concreta come quella di lottare per i playoff, ha scelto l’autoaffondamento. Con metodo.
Il Cittadella sembrava l’Inter vista contro il Barcellona, il Bari l’ombra di se stesso, anzi nemmeno quello. È sembrato proprio non volerci andare ai playoff. La città guarda attonita, e i giocatori se ne andranno a fine stagione tra pacche sulle spalle e valigie leggere, mentre qui si resta con un pugno di mosche e un’altra stagione da buttare. L’anno scorso almeno c’era “anima e core”, ovvero Capitan Di Cesare, quest’anno non c’è neppure l’anima. E senza anima, scriveva già Nietzsche, “l’uomo è solo un animale addomesticato”. Il Bari lo è diventato: addomesticato alla mediocrità, accettato il compromesso dell’insufficienza, accomodato nel grigiore.
Questa squadra non è mediocre. È scarsa. Non ha qualità, né idee. È una rosa gonfiata da numeri, appesantita da prestiti e figurine senza peso. Si cambiano moduli, uomini, punte (vere o presunte), ma il risultato è sempre lo stesso: confusione, frustrazione, resa. Non serve a nulla buttare dentro cinque attaccanti se non c’è fame, se non c’è ardore. Se non c’è la minima voglia di onorare una maglia, una città, una stagione.
A Cittadella il Bari perde l’onore. E non perché sia una sconfitta contro la penultima, ma per come arriva: senza reazione, senza nerbo, senza dignità sportiva. Una caduta morale più che calcistica. Come nel finale di un dramma greco, il sipario cala su una squadra che si è dissolta nel momento in cui serviva esserci.
Servirebbero due miracoli, uno a Bolzano e l’altro a Cesena, obiettivamente improbabile. Ma la verità, ormai, è chiara a tutti: il Bari non li merita. Sarebbe bastato poco, perché il Cittadella, come il Cosenza, era davvero alla portata. Ma il Bari ha fatto da spartiacque, da salvagente per chi annegava. Un’altra volta.
Il fallimento è totale. Tecnico, atletico, comportamentale. È tempo di ripartire? Sì, ma con chi? Con quali idee? Con quali uomini? Con altri venti nomi da serie minori, in prestito, magari via Napoli? Il futuro è già stanco prima di iniziare.
Vergognarsi oggi è un dovere. Perché questa sconfitta non è un caso. È l’ennesimo episodio di un lento naufragio. E come scriveva Pavese: “L’unica gioia al mondo è cominciare.” Ecco, al Bari toccherà cominciare di nuovo. Da zero e dintorni. Di nuovo.
Massimo Longo