Bari, il fallimento è totale: una stagione da archiviare e un cambio di rotta non più rimandabile

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A Bolzano stasera calava il sipario su questo campionato, il terzo, in un certo senso, traumatico per il Bari dopo una promozione sfuggita a 90 secondi dalla fine, un playout a Terni, vinto, e questo campionato anonimo ma soprattutto irritante. In pochissimi credevano al miracolo, pressoché nessuno tranne i soliti irriducibili che tra noi non mancano mai (per fortuna), troppo scarso e inaffidabile questo Bari per poter sperare in un clamoroso finale. L’incoscienza della passione di preferire Sinner in TV che è di queste parti, il profumo dello iodio degli atolli sperduti negli oceani e l’idea di mettersi al più presto le infradito erano forti. Una sfida che non accendeva entusiasmi,, tra un Sudtirol e un Bari già matematicamente salvi e senza alcuna crisi da risolvere dal Bari, né quella degli avversari, né quella del suo centravanti. Solo il Bari arrivava con una flebile speranza di agguantare in extremis l’ultimo posto nei playoff, a patto di vincere e sperare in una contemporanea sconfitta del Cesena a Modena, contro una squadra senza più assilli di classifica. Combinazione assai complicata ma non impossibile. La partita si presenta con un coefficiente di tensione agonistica vicino allo zero, eppure nel calcio, come nei romanzi di Kafka, la logica lascia spesso spazio all’assurdo: sogni che resistono, pareggi che non bastano, incroci da decifrare fino all’ultima pagina. Anche se i maligni prevedevano stasera a Bolzano le ultime ore di lavoro dopodiché tutti in ferie e ritorno alle proprie case di appartenenza.

Qualcuno si era per caso illuso che anche la trentottesima giornata Longo mandasse in campo una formazione simile alle precedenti? Povero illuso. Trentottesima formazione nuova, dunque: Radunovic, Mantovani, Simic, Obaretin, Favasuli, Maita, Benali, Maggiore, Dorval, Favilli, Lasagna. Questo la formazione mandata in campo.

Nel primo tempo è il Bari a prendere con decisione le redini del gioco, creando diverse opportunità e rendendosi nettamente più pericoloso rispetto al Sudtirol. Dopo un primo brivido iniziale causato da Odogwu, che spreca una chiara occasione davanti a Radunovic, i pugliesi rispondono con determinazione. Maggiore si rende protagonista con una doppia conclusione ravvicinata, pur senza trovare lo specchio. Poco dopo, Dorval accende lo stadio con una splendida giocata personale culminata in un tiro che si infrange sulla traversa, lasciando intendere il momento di pressione biancorosso. Il Bari insiste: Favilli prova due volte a lasciare il segno, prima murato al momento della conclusione, poi impreciso di testa su invito di Lasagna. Lo stesso Dorval ci riprova da fuori, ma trova Poluzzi pronto. Nonostante una seconda chance per Odogwu ben controllata da Radunovic, la prima frazione evidenzia una netta superiorità territoriale e in termini di pericolosità da parte del Bari, che avrebbe certamente meritato il vantaggio.

Nel secondo tempo il Bari conferma sorprendentemente l’intensità e la qualità mostrate nella prima frazione, mantenendo saldamente il controllo della gara. I biancorossi si rendono subito pericolosi con una manovra rapida nello stretto, interrotta solo da una provvidenziale deviazione in angolo prima che Maggiore potesse colpire a rete. Favilli continua a essere il terminale più attivo: prima ci prova dal limite, sfiorando il bersaglio, poi impegna Poluzzi con una conclusione ravvicinata deviata in angolo.

L’assedio del Bari prosegue: Favasuli sguscia sul fondo e serve Favilli, che manca di poco l’appuntamento col gol. L’attaccante va ancora vicino al bersaglio con un colpo di testa che lambisce il palo, seguito da un’altra chance con Lasagna, impreciso da posizione defilata. È un monologo biancorosso, ma senza finalizzazione: Benali spreca una ghiotta occasione a tu per tu con il portiere, e Simic fa altrettanto poco dopo.

Anche Falletti e Novakovich, subentrati nella girandola di cambi, mancano il colpo decisivo: il primo si divora un gol davanti a Poluzzi, il secondo va in rete ma partendo da posizione irregolare. L’unico squillo del Sudtirol arriva in contropiede, ma Merkaj e Odogwu non concretizzano.

Alla fine, resta solo il rammarico per una superiorità territoriale e di gioco evidente ma totalmente sterile. Il Bari crea, spreca, e saluta definitivamente il sogno playoff. Un epilogo amaro, figlio di una stagione che ha deluso oltre ogni previsione.

Il fallimento del Bari in questa stagione è totale, innegabile, devastante. E non può essere archiviato con la solita scrollata di spalle o con frasi fatte che servono solo a diluire le responsabilità. Non basta dire “ci rifaremo l’anno prossimo”, perché questa volta il danno è profondo e sistemico. È il fallimento di un progetto che non ha mai avuto una direzione chiara, che si è trascinato con inerzia, tra giocatori in prestito, scelte tecniche incoerenti e una società che ha dato l’impressione di non credere veramente in ciò che stava facendo.

La partita di oggi – probabilmente la migliore dell’anno – rappresenta la beffa finale. Un Bari che finalmente gioca, crea, domina, eppure esce senza vittoria. Un copione già visto, che non consola ma anzi esaspera: perché dimostra che la qualità e l’impegno c’erano, ma sono stati tenuti sotto chiave per 37 giornate su 38. Non è questione di “giornata storta”, ma di una stagione interamente buttata via, con gare alla portata sprecate con leggerezza, mancanza di identità e di carattere.

È stato un Bari impalpabile, che non ha mai acceso l’orgoglio dei suoi tifosi se non a sprazzi. E se il termine “schifo” può sembrare eccessivo, allora diciamo che il Bari ha offerto una stagione molle, grigia, senza anima. Peggio di soffrire è non sentire nulla, e il vuoto che molti tifosi provano oggi è forse il sentimento più duro da sopportare.

La colpa è di tutti. Della proprietà, che ha trattato il Bari come una succursale e non come un club con una storia, una tifoseria, una città alle spalle. Della dirigenza, che ha assemblato una squadra senz’anima e senza prospettive, fatta di prestiti e scommesse perse. Dell’allenatore, che ha gestito male le risorse, parlato a sproposito e non ha mai davvero trasmesso grinta o visione. E dei giocatori, protagonisti di prestazioni indecorose e indegne per chi indossa questa maglia: perché perdere fa parte del gioco, ma lo si fa lottando, non scomparendo dal campo.

Il paragone con Cittadella e Cosenza è amarissimo: hanno battuto un Bari spento e poi sono crollate. Ma questo succede quando una squadra non mette mai paura a nessuno, quando il tuo nome non impone rispetto, quando il blasone resta solo un ricordo in bianco e nero.

Come scriveva Pirandello, “la realtà non è quella che si vede, ma quella che si sente”. E questa stagione ci ha fatto sentire soltanto un senso continuo di smarrimento e rassegnazione. O come avrebbe detto Pavese, “ci si stanca di soffrire, come di tutto”. I tifosi sono stanchi. Di illusioni, di annunci, di promesse non mantenute.

Dobbiamo essere grati alla Filmauro per averci fatto tornare nel calcio che conta, ma per favore che si cambi registro, questa città ha già subito più fallimenti sia societari che sportivi, non se ne può più. La diserzione totale per la prossima stagione è dietro l’angolo. E che ci risparmi con la prevedibile affermazione per cui “Avete visto la Sampdoria miliardaria? E’ retrocessa”. No, qui non abbocca più nessuno. Auguri alla Sampdoria per un pronto ritorno nel calcio che conta ma, per favore, che si crei entusiasmo, che si pensi in grande. Bari ha bisogno di sognare, di ambire a palcoscenici più prestigiosi, Bari ha bisogno di giocarsela a San Siro, all’Olimpico, a Torino, non a Cittadella, a Bolzano, a Carrara o a Frosinone in eterno. Se non si è in grado di cambiare rotta, che si prendano delle decisioni trancianti. Il Presidente Luigi De Laurentiis è un dirigente capace, un’eccellenza dell’imprenditoria italiana e forse europea, lo dicono i risultati sia della Filmauro che del Napoli, e proprio per questo sarebbe il caso di rifletterci. Il tempo delle giustificazioni è finito. Serve una rifondazione vera, radicale. Perché continuare così non è solo inutile, è dannoso. E perché Bari, la sua gente, il suo stadio, meritano una squadra che non giochi a essere grande, ma che lo sia per davvero. Basta con l’esasperazione e di questo clima torrido per il pallone. Bari ha dato già abbastanza.

Massimo Longo

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