IL post neoliberismo come risposta alla crisi globale?

Economia & Finanza

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Le idee neoliberiste si sono dimostrate incapaci di risolvere problemi come il ritardo della crescita , l’accelerazione del cambiamento climatico, e creandone  altri. Nel paese più neoliberista gli USA  dal 1980 all’inizio degli anni ’20, la disuguaglianza  è aumentata vertiginosamente, con il millesimo più ricco della popolazione che ha raddoppiato la propria quota di ricchezza complessiva, raggiungendo circa il 14%. (L’1% più ricco detiene ora circa il 30% della ricchezza del Paese.) In quel periodo, il settore manifatturiero si è ridotto dal 22% al 9% dell’occupazione non agricola. Un nuovo pensiero il post neoliberismo dovrebbe consentire il rilancio del capitalismo democratico

Questi sono tempi tumultuosi per l’Occidente. La disuguaglianza di reddito e ricchezza ha raggiunto livelli storicamente elevati. Il cambiamento climatico sta accelerando, con il numero di disastri meteorologici da miliardi di dollari: negli Stati Uniti è salito il conto da tre nel 1980 a 27 nel 2024.

L’intelligenza artificiale sta rimodellando la società a un ritmo senza precedenti, provocando licenziamenti e mettendo a rischio intere professioni. Secondo una stima della Brookings Institution, fino all’85% degli attuali lavoratori nella forza lavoro statunitense potrebbe vedere il proprio posto di lavoro influenzato dall’attuale tecnologia di intelligenza artificiale generativa. In futuro, questa percentuale potrebbe aumentare ulteriormente. Compito dei governi è quello di proteggere le persone e aiutarle a gestire il cambiamento, intervenire quando i mercati non possono.

Facciamo riferimento agli USA per delineare caratteristiche dell’attuale momento storico. Gli americani sembrano avere poca fiducia nelle capacità dei governi. Negli ultimi due decenni, la fiducia del pubblico nel governo statunitense è crollata del 40%. Alcuni americani ritengono che il governo federale sia stato assente. Altri ritengono che non sia riuscito ad affrontare le sfide urgenti, tra cui l’aumento del costo della vita, il cambiamento climatico e le potenziali ripercussioni dell’intelligenza artificiale. In ogni caso, Washington ha il suo bel da fare mentre il governo cerca di riconquistare la fiducia degli americani. Tendenze comuni in gran parte dei paesi europei.

Un nuovo libro“ The Measure of Progress, prende di mira i dati economici utilizzati dagli Stati. Secondo Coyle, gli analisti valutano l’economia utilizzando parametri obsoleti e limitati, inducendo i decisori politici a fraintendere le sfide che i cittadini devono affrontare. IL libro denuncia un aspetto che le evidenze storiche stanno legittimando e cioè che i governi non possono affrontare i problemi di oggi con le istituzioni e i processi di ieri. II libro offre una nuova prospettiva attraverso cui osservare un mondo in difficoltà e il ruolo dei governi e di quello USA in particolare.

Per circa quarant’anni, l’etica del libero mercato, sostenuta dal presidente Ronald Reagan, ha guidato la politica economica e permeato la cultura americana. Un ampio consenso bipartisan ha assicurato agli americani che i mercati sapevano tutto: non erano solo efficienti, ma saggi ed equi. Lo Stato, si diceva, non avrebbe dovuto interferire con l’ordine naturale prodotto dal fermento delle forze del libero mercato. E lo Stato non lo ha fatto. Tra il 1982 e il 2015, la capitalizzazione di mercato di tutte le società quotate in borsa è passata da circa il 35% del PIL a circa il 95%.

Il settore privato, sotto quello che molti chiamano “neoliberismo”, ha registrato un boom. Ma a partire da circa un decennio fa, il neoliberismo ha iniziato a perdere la sua presa sulla vita americana e sui politici. Per molti americani e anche europei , la “globalizzazione” è diventata una parolaccia, un fenomeno a cui si attribuisce la responsabilità di mali diversi come la disuguaglianza, la perdita di posti di lavoro nell’industria, la rischiosa espansione del settore finanziario e l’ascesa di avversari geopolitici.

I leader statunitensi per esempio hanno sorprendentemente respinto i presupposti dei decenni precedenti. Il presidente Donald Trump, nel suo primo mandato, ha lanciato una bordata contro le certezze neoliberiste. Ha affermato di voler proteggere le aziende e i lavoratori statunitensi dalla concorrenza straniera. Anche Biden, ruppe con i principi convenzionali del libero mercato che avevano caratterizzato gran parte della sua carriera politica. Mantenne molti dei dazi imposti da Trump sulla Cina. In patria, Biden cercò di costruire un nuovo tipo di politica industriale americana, basata sul presupposto che lo Stato può e deve plasmare i mercati. Ripristinò le protezioni antitrust al livello pre-Reagan. E si autoproclamò il “presidente più sindacalizzato della storia americana”, diventando il primo presidente degli Stati Uniti a partecipare a uno sciopero sindacale quando si presentò al picchetto con i lavoratori in Michigan nel 2023.

Secondo le sue stesse parole, “entrò in carica… per superare l’economia del trickle-down e liberarsene per tutti”. Nel suo secondo mandato, Trump ha intensificato l’uso dei dazi li ha poi sospesi e a giugno si verificherà il ripristino. Neglli ambiti di politica fiscale Trump sembra tradizionalmente neoliberista. Nei suoi primi mesi, ad esempio, il Congresso controllato dai repubblicani sembrava desideroso di estendere i tagli fiscali introdotti da Trump nel suo primo mandato. Ciò aggiungerebbe tra i due e i quattromila miliardi di dollari al debito statunitense, a seconda dei tagli alla spesa, un’altra ambizione tipicamente neoliberista.

Nella politica degli ultimi anni, si possono intravedere i contorni di una nuova versione di capitalismo democratico, abbracciata da leader e pensatori di tutto lo spettro politico. Ribattezzato senza troppa fantasia “post-neoliberismo” da molti, offre una serie di idee e politiche volte ad affrontare gli squilibri di potere intrinseci nei mercati, a riacquistare una certa chiarezza su ciò che i mercati possono e non possono fare e, non da ultimo, a riconsiderare se gli attuali assetti economici siano fondamentalmente positivi per per la società. I sostenitori del post-neoliberismo sostengono che i mercati tendono a concentrare la ricchezza e a creare asimmetrie di potere. Questi squilibri creano problemi per gli individui e per l’economia nel suo complesso, quindi è compito del governo correggerli. Altrimenti, questi squilibri possono ostacolare la concorrenza e, in breve tempo, il capitalismo scivola nel corporativismo, il dominio dell’economia da parte di una manciata di gruppi potenti. Gli Stati devono gestire l’economia e garantire che gli squilibri non ne compromettano il corretto funzionamento. Inoltre, i mercati non sono fini a se stessi, affermano i post-neoliberisti, ma strumenti che consentono alle società di perseguire meritevoli obiettivi nazionali. Questa teoria c post-neoliberista ha sostenitori su entrambi gli schieramenti politici. Questo lo rende diverso dalle passate posizioni .

Il neoliberismo, e il keynesismo prima di esso, furono in gran parte sostenuti da un partito in risposta alle sfide pratiche del loro tempo. Franklin Roosevelt, un democratico, inaugurò il keynesismo, con la sua enfasi sull’intervento statale per sostenere la domanda aggregata, risolvere la Grande Depressione e mobilitare il Paese per la guerra. Il successivo repubblicano a salire alla Casa Bianca, Dwight Eisenhower, non fece retrocedere drasticamente le politiche keynesiane. Decenni dopo, Reagan, un repubblicano, propose il neoliberismo per arginare la stagflazione degli anni ’70. Il successivo democratico a diventare presidente, Bill Clinton, vinse le elezioni nel 1992 in parte sottolineando la sua adesione ai dettami del libero mercato di Reagan. In entrambi i casi, un insieme di idee divenne così dominante che il partito avversario alla fine vi aderì per necessità politica.

Le idee neoliberiste si sono dimostrate incapaci di risolvere problemi come il ritardo della crescita , l’accelerazione del cambiamento climatico, e creandone e aggravandone altri. Dal 1980 all’inizio degli anni ’20, la disuguaglianza negli Stati Uniti è aumentata vertiginosamente, con il millesimo più ricco della popolazione che ha raddoppiato la propria quota di ricchezza complessiva, raggiungendo circa il 14%. (L’1% più ricco detiene ora circa il 30% della ricchezza del Paese.) In quel periodo, il settore manifatturiero si è ridotto dal 22% al 9% dell’occupazione non agricola. E queste stesse politiche non solo hanno accelerato l’ascesa di un avversario alla pari – la Cina – ma hanno anche lasciato gli Stati Uniti fortemente dipendenti dai prodotti cinesi. Saranno i fatti economici e le ricadute sociali a dimostrare l’efficacia o il fallimento di questa nuova teoria.

 

 

 

 

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