Meloni tra Washington e Bruxelles: il doppio gioco della Premier per una nuova centralità italiana

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di Domizia Di Crocco

ROMA – Un confronto strategico, quello avvenuto oggi a Palazzo Chigi tra Giorgia Meloni, il vicepresidente degli Stati Uniti J.D. Vance e la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen. Ma al di là delle strette di mano e delle dichiarazioni di rito, è lecito chiedersi quale sia il disegno politico che la Premier italiana sta silenziosamente tessendo tra le due sponde dell’Atlantico.

Da una parte l’Europa, dall’altra gli Stati Uniti. In mezzo, Giorgia Meloni: la leader di Fratelli d’Italia, che si presenta come custode dei valori nazionali ma si muove con sempre maggiore abilità sulla scena internazionale, sta cercando di elevare il peso specifico dell’Italia in un contesto geopolitico in rapida evoluzione. E lo fa con un approccio pragmatico, se non addirittura opportunista, cercando di ritagliarsi un ruolo da ago della bilancia tra le visioni divergenti di Washington e Bruxelles.

Il doppio binario della politica estera

L’incontro odierno non è un episodio isolato, ma il tassello di una strategia ben più ampia. Meloni cerca visibilità e legittimità internazionale proprio mentre l’Italia si prepara ad affrontare sfide interne complesse: instabilità economica, tensioni sociali, un’opposizione parlamentare frammentata e una crisi demografica che erode le prospettive a lungo termine. In questo contesto, il dialogo con figure chiave come Vance – rappresentante del trumpismo più “riluttante” verso l’Europa – e von der Leyen – simbolo di un’UE istituzionale e a trazione tedesca – assume un valore altamente simbolico.

Meloni sembra voler parlare con entrambi i mondi: con l’America che conta in vista delle elezioni del 2024, e con un’Europa che deve ancora decidere se considerare l’Italia un partner scomodo o una risorsa rinnovata.

L’arte dell’equilibrismo

È evidente che la Premier italiana stia giocando una partita ad alto rischio. Strizzare l’occhio a Washington, in particolare a una possibile nuova amministrazione repubblicana, mentre si cerca di rimanere credibili a Bruxelles, può rivelarsi una mossa vincente solo se supportata da una visione coerente e da un’agenda chiara. Il problema è che quest’ultima, al momento, appare ancora avvolta in un alone di ambiguità.

La sua “diplomazia del sorriso”, fatta di incontri bilaterali, discorsi misurati e retorica del buonsenso, funziona mediaticamente, ma non basta a sciogliere i nodi strutturali che affliggono il Paese. Né può bastare a garantirle quella leadership europea che ambisce a conquistare.

Verso quale Italia?

Alla luce di queste manovre, la domanda che si impone è: che tipo di Italia vuole Meloni? Un Paese autonomo, leader del Mediterraneo, ponte tra Occidente e Sud globale? O un’Italia posizionata tatticamente per ottenere fondi, investimenti e consenso elettorale, senza scalfire gli equilibri di potere già consolidati?

Il rischio, per la Premier, è di restare intrappolata nella sua stessa narrazione. Perché l’Europa e gli Stati Uniti hanno bisogno di alleati forti e affidabili, non solo di interlocutori abili a destreggiarsi tra platee diverse.

Giorgia Meloni, da esperta comunicatrice, ha mostrato di saper cavalcare la scena internazionale. Ma ora il tempo delle strette di mano è finito. Servono scelte. Servono visioni. E, soprattutto, servono risultati concreti.

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