Ambarabà ciccì coccò, il Pd gioca al massacro

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Una filastrocca per bambini diventa metafora amara di una sinistra che si sbrana da sola, mentre l’ex ministro viene difeso dagli avversari di Fratelli d’Italia.


“Ambarabà ciccì coccò, tre civette sul comò…”
È solo una filastrocca per bambini. Apparentemente senza senso. Una sequenza circolare, ripetitiva, che torna sempre da capo. Eppure, proprio come certe dinamiche della politica italiana – specie quella del centrosinistra – sembra dire tanto sul nulla che accade. O meglio: sul nulla che resta dopo lo scontro. Tre civette sul comò che “facevano l’amore con la figlia del dottore”, ma poi “il dottore si ammalò”… e la conta ricomincia. È una conta che oggi potrebbe sembrare quella del Partito Democratico: quando si cercano i colpevoli, quando si distribuiscono i pesi interni, quando si decide chi è dentro e chi fuori dal perimetro dell’accettabile.

Il caso Fassino – il “dottore” di questa filastrocca – è emblematico. Un consigliere comunale del Pd di Cagliari, Davide Carta, scrive pubblicamente: “Ad ammazzarlo non si fa peccato”. Parla di Piero Fassino, storico dirigente della sinistra italiana, ex ministro, ex sindaco, ex tutto. Ma soprattutto, ex riferimento stabile in un partito che oggi pare aver perso anche la capacità di riconoscere i propri padri nobili.

Il casus belli? Una presunta mancanza di partecipazione emotiva durante un minuto di silenzio per le vittime di Gaza alla Camera. Fassino – che non ha mai nascosto una posizione terza sulla questione israelo-palestinese, rifiutando tanto l’antisemitismo quanto l’odio verso Israele – è diventato bersaglio della militanza più radicale. Il post del militante indignato e quello, ancor più grave, del consigliere Carta sono l’apice dell’odio che cova sotto le ceneri della sinistra.

Il Pd, quello che insegna la democrazia e l’antifascismo a ogni occasione utile, tace. La segretaria Elly Schlein non parla – si dice abbia telefonato a Fassino, ma niente dichiarazioni pubbliche. Solo la deputata Simona Malpezzi, a due giorni dall’accaduto, esprime una qualche forma di solidarietà. Il resto del partito si avvolge in un silenzio colpevole.

E a difendere Fassino, chi è che si alza? I “nemici” di Fratelli d’Italia. Il deputato Francesco Mura denuncia l’accaduto come «frase gravissima, incompatibile con il ruolo istituzionale». Fabio Pietrella, membro del Consiglio d’Europa, aggiunge: «La divergenza politica non deve degenerare in disumanizzazione dell’avversario».

Proprio così: chi contesta la violenza verbale non sono i “compagni”, ma i “cattivoni” della destra. Una destra spesso accusata di fomentare odio, ma che almeno – in questo caso – si ricorda cosa significa difendere la dignità umana di chi la pensa diversamente.

E mentre Carta prova a scusarsi, parlando goffamente di “iperbole”, emerge l’ipocrisia di un certo moralismo di sinistra: quello che chiede rispetto, empatia e pacificazione, ma poi non sa praticarli in casa propria. Non è la prima volta, e non sarà l’ultima. Le civette torneranno sul comò.

Ambarabà ciccì coccò, Fassino sotto attacco però…
Chi lo difende? Il nemico. I compagni? Preferiscono contare in silenzio. Come in una filastrocca senza senso.

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