Esistono oggi test di performance ed esami di laboratorio per valutare se la propria età biologica è più bassa dell’età anagrafica.

IA photo
Il genotipo è espressione del DNA contenuto nelle nostre cellule, determina le modalità attraverso cui l’organismo gestisce i processi cellulari correlati all’invecchiamento, subisce fenomeni infiammatori, ossidazione o modificazione del Dna.
Il fenotipo invece è esprssione delle caratteristiche che derivano dall’interazione tra assetto ereditario e ambiente. In base a questo ogni persona traccia il suo percorso di longevità e si determina la sua età biologica e l’aspettativa di vita.
Per la valutazione dell’età biologica sono oggi disponibili numerosi test, per l’età vascolare é attendibile il test chiamato VasculaAging che consiste nell’inserire dati che riguardano colesterolo, abitudine al fumo e sesso. Il risultato è una stima affidabile di quanto siano invecchiati i vasi sanguigni, un dato indicativo in quanto l’età cardiovascolare è fortemente correlata a quella anagrafica.

IA photo
È supportato da studi scientifici anche il test che misura l’età fenotipica ideato da Morgan Levine, patologo dell’università americana di Yale. Tenendo conto di nove parametri rilevabili con un’analisi del sangue, tra cui albumina, creatinina, glucosio e linfociti, fornisce un’indicazione sullo stato dell’invecchiamento cellulare e fenotipico attraverso un opportuno algoritmo. Altri test messi a punto per stabilire l’età biologica scientificamente validi sono quelli detti test di performance. Un esempio è il test della velocità del cammino su 4 metri, in grado di misurare oggettivamente la fragilità nei pazienti con malattie cardiovascolari.Tra questi rientra anche la SPPB (Short Physical Performance Battery, letteralmente “breve batteria fisica di prestazioni”), una misura di performance fisica oggi molto usata per stratificare la fragilità fisica dei pazienti specialmente in ambito cardiovascolare e cardiogeriatrico.
Quanto più a lungo si riesce a restare in equilibrio su una gamba sola potrebbe essere un modo semplice e veloce per capire come si invecchierà e stimare anche il rischio di ictus e demenza.
Ovviamente i secondi cambiano a seconda dell’età della persona: una ricerca pubblicata sul Journal of Geriatric Physical
Therapy aveva quantificato in 22 secondi il limite minimo di resistenza per i settantenni, che scendeva a 9 per gli ottantenni, le persone che hanno fra i quaranta e i sessant’anni dovrebbero riuscire a mantenersi in equilibrio su una gamba sola (e a occhi aperti) per un minuto. Ma niente paura: si può sempre invertire la rotta allenandosi.
Umberto Palazzo
Editorialista De IlCorriereNazionale,net