La Cassazione ha cambiato nuovamente orientamento sul centro per rimpatri di Gjadër, in Albania. Con la decisione di giovedì 29 maggio, pubblicata il 30, ha rinviato due cause alla Corte di giustizia dell’Unione europea, con un atteggiamento in un certo senso un po’ pilatesco, che non farà altro che ritardare ulteriormente la piena funzionalità dei centri albanesi, secondo quello che è il protocollo Italia Albania, siglato da Giorgia Meloni e il premier albanese socialista Edy Rama, a novembre del 2023, e che viene ormai additato come una sorta di modello nella gestione della migrazione clandestina, per tutta l’Unione europea.
Il nuovo capitolo della sagra riguarda la decisione di ieri degli ermellini, che ha rinviato due cause alla Corte di giustizia dell’Unione europea. La notizia è stata anticipata dal Manifesto,. I rinvii – spiega il quotidiano – sono contenuti in due provvedimenti fotocopia nati dai ricorsi del Viminale contro altrettante non convalide del trattenimento decise dalla Corte d’appello di Roma. La prima sezione penale è tornata sui propri passi – scrive il Manifesto – capovolgendo una precedente decisione in cui aveva equiparato il Cpr di Gjader a quelli che si trovano in Italia. Al di là del fatto piuttosto singolare legato al fatto di come un quotidiano, sia riuscito, ancora una volta, ad accedere e rendere poi nota, in anteprima, una sentenza di una Corte, la questione rischia di accrescere ulteriormente le polemiche intorno alla questione dei centri di accoglienza. Questo, anche perché la Cassazione avrebbe ribaltato una sua pronuncia dello scorso 10 maggio: in quella data la corte aveva stabilito che anche i richiedenti asilo potevano essere trattenuti nel Cpr albanese, al contrario di quanto sostenuto dalla Corte d’appello in diverse pronunce. I giudici di secondo grado non avevano convalidato i trattenimenti di chi – recluso a Gjadër – non aveva fatto domanda di protezione internazionale. Dando così una sponda al progetto del governo.
Lo scorso marzo, infatti, l’esecutivo ha deciso, con un decreto, di ampliare la funzionalità delle strutture costruite in Albania rendendole centri di permanenza per il rimpatrio (Cpr). Senza una modifica della legge di ratifica del protocollo Italia-Albania, il governo ha così permesso di trasferire persone senza permesso di soggiorno trattenute nei Cpr italiani.
Gli ermellini, sempre secondo quanto riportato dal Manifesto, porrebbero due questioni che riguardano entrambi i casi attualmente possibili a Gjader: quello di un migrante in situazione di irregolarità amministrativa e quello di un richiedente asilo che ha fatto domanda di protezione internazionale da dietro le sbarre di quel Cpr. Per il primo il dubbio è che il trasferimento dall’Italia all’Albania contrasti con la direttiva rimpatri. Per il secondo un analogo sospetto riguarda la direttiva accoglienza. Il tema – viene spiegato – è quello della territorialità: la prima sezione penale, afferma il quotidiano, è tornata sui propri passi capovolgendo una precedente decisione in cui aveva equiparato il Cpr di Gjader a quelli che si trovano in Italia.
Nessuna replica ancora da Palazzo Chigi, ma certamente nella travagliata vicenda dei Cpr, con le sentenze che hanno più volte, annullato i trasferimenti in Albania, il governo tuttavia aveva incassato con soddisfazione la mossa di Bruxelles sulla lista dei paesi sicuri, in cui erano inclusi anche Egitto e Bangladesh, oggetto del contendere con la magistratura italiana, vista dalla premier come un beneplacito dell’Unione europea al modello Albania. “Accolgo con grande soddisfazione la proposta di lista Ue Paesi sicuri di origine presentata dalla Commissione europea e che ricomprende, tra gli altri, anche Bangladesh, Egitto e Tunisia”, aveva dichiarato in una nota a metà aprile la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni. Dopo iquindi questa decisione, certamente favorevole della Ue ai centri di rimpatri del 30 marzo scorso, qualche giorno fa l’escutivo Ue suggeriva di eliminare anche l’obbligo per le autorità nazionali competenti in materia di asilo di dimostrare l’esistenza di un legame tra il richiedente e il Paese terzo sicuro in cui lo si vuole trasferire. Secondo la nuova impostazione di Bruxelles, il transito attraverso un Paese terzo sicuro durante il viaggio per raggiungere l’Ue sarebbe un collegamento sufficiente per poter negargli la protezione.
Ed è per questo motivo che il governo Meloni sera fiducioso sull’apporvazione da parte della Ue al modello Albania, ora invece questa controversa sentenza potrebbe nuovamente mettere in discussione la vicenda, che fin dall’inizio ha dovuto subire una strumentalizzazione a fini politici.