Sempre più usata al posto del contrasto iodato, l’anidride carbonica (CO₂) si afferma in ambito vascolare ed epatico
L’utilizzo dell’anidride carbonica (CO₂) come mezzo di contrasto gassoso nelle procedure di radiologia interventistica si sta affermando in Italia come alternativa sicura per specifici gruppi di pazienti, soprattutto in contesti in cui il contrasto iodato rappresenta un rischio.
Ne abbiamo parlato con il Dr. Stefano De Lillo, Vicepresidente dell’Ordine dei Medici Chirurghi e Odontoiatri della Provincia di Roma, per un’analisi clinica, istituzionale e sistemica di questa opportunità terapeutica.
Dottor De Lillo, l’impiego della CO₂ nelle angiografie e in alcune procedure epatiche è ormai praticato in centri come il San Camillo di Roma e il San Giovanni di Dio di Firenze. Qual è la sua valutazione sul piano clinico e istituzionale?
L’impiego dell’anidride carbonica rappresenta un’evoluzione significativa della radiologia interventistica, soprattutto per pazienti a rischio elevato, come quelli con insufficienza renale cronica o allergie al contrasto iodato. Clinicamente, questa metodica amplia le possibilità diagnostiche e terapeutiche. Dal punto di vista istituzionale, è coerente con il principio di medicina personalizzata e con l’attenzione crescente alla sicurezza del paziente, in particolare nei casi complessi.

Il Dr. Stefano De Lillo, Vicepresidente Odine dei Medici di Roma
Parliamo di una tecnologia già consolidata nella pratica clinica o è ancora in fase selettiva?
La CO₂ è utilizzata da decenni in ambito angiografico, ma la sua diffusione è stata ostacolata fino a poco tempo fa da limiti tecnici e di sicurezza. Oggi, grazie a iniettori controllati digitalmente come l’AngioDroid e a un maggiore know-how operatorio, il suo uso è diventato più sicuro, standardizzabile e documentato. In centri ad alta specializzazione è ormai parte della pratica quotidiana in casi selezionati. A livello nazionale, però, l’adozione rimane ancora frammentaria.
Quali sono gli ambiti clinici in cui l’impiego della CO₂ ha oggi un impatto concreto?
Principalmente in procedure vascolari periferiche e addominali, come il trattamento dell’ischemia critica agli arti inferiori, gli aneurismi dell’aorta addominale o le embolizzazioni selettive in oncologia epatica. L’assenza di nefrotossicità e la capacità di fornire immagini diagnostiche, sebbene con caratteristiche diverse dal contrasto iodato, la rendono particolarmente indicata in pazienti fragili. Inoltre, la CO₂ è rapidamente riassorbita e non determina sovraccarico né per i reni né per altri organi.
L’Ordine dei Medici può avere un ruolo nel promuovere queste soluzioni?
L’Ordine non ha il compito di dettare linee guida cliniche, ma può favorire il confronto multidisciplinare, sostenere la formazione continua e promuovere l’adozione di pratiche sicure, efficaci e validate scientificamente. L’utilizzo della CO₂ risponde a criteri di appropriatezza clinica ed etica, soprattutto per categorie di pazienti a rischio. È quindi nostro interesse incoraggiare l’aggiornamento dei professionisti e la conoscenza di queste metodiche.
Cosa ostacola, oggi, una diffusione più uniforme dell’impiego della CO₂ sul territorio nazionale?
I fattori sono diversi. Il primo è di tipo tecnologico: non tutte le strutture sono dotate di sistemi di iniezione dedicati. Poi c’è la necessità di formazione tecnica per gli operatori, che devono acquisire competenze specifiche per utilizzare la CO₂ in sicurezza. Inoltre, le linee guida ufficiali ne raccomandano l’uso solo in casi selezionati e questo frena l’adozione estensiva. Infine, c’è il tema delle politiche sanitarie regionali, che possono influenzare l’accesso a queste soluzioni innovative.

Controllo dell’iniezione automatica di CO₂ tramite interfaccia digitale (ph web)
In prospettiva, ritiene che l’uso della CO₂ possa essere esteso anche ad altri contesti?
Ci sono già studi in corso sull’applicazione della CO₂ in altri distretti anatomici, ma con le dovute cautele: non può essere utilizzata, ad esempio, nei distretti intracranici o sopra il diaframma, per il rischio di embolie gassose. Tuttavia, per la diagnostica epatica, le patologie vascolari periferiche e alcune procedure oncologiche, il suo impiego è già maturo. Il futuro, semmai, sarà nella combinazione intelligente dei diversi mezzi di contrasto per ottimizzare diagnosi e sicurezza.
Una riflessione conclusiva. Che ruolo ha oggi l’innovazione tecnologica nel ridisegnare la sanità?
Un ruolo centrale, ma deve essere accompagnata da una visione integrata. Una tecnologia, per essere efficace, non basta che sia nuova, deve essere accessibile, sostenibile e integrata in un percorso di cura. L’anidride carbonica è un esempio interessante di innovazione “di precisione”, pensata per un sottogruppo specifico di pazienti e in questo senso rappresenta un modello virtuoso. Ma la sua diffusione richiede organizzazione, investimenti e formazione. Solo così l’innovazione diventa sistema.