Nel panorama politico italiano, l’illusione delle differenze ideologiche si è progressivamente dissolta, rivelando una realtà più amara: tutti i partiti, pur sbandierando identità distinte, si nutrono della stessa sostanza deteriorata. Ecco perché, nella politica italiana, tutti i partiti sono uguali divenendo lo specchio lucido e impietoso di una verità che molti rifiutano di guardare: la politica è divenuta esercizio di sopravvivenza e marketing elettorale, non più visione o responsabilità.
La miseria del potere non è solo nella mancanza di coerenza, ma nella sua totale subalternità al consenso. La convergenza tra estremi – destra e sinistra, populisti e sovranisti – non è più un’anomalia, ma un metodo strutturale. L’ideologia è morta per lasciare spazio all’opportunismo. Ogni movimento cerca di intercettare rabbia e frustrazione, poco importa se strizzando l’occhio al protezionismo o invocando la sovranità contro “Bruxelles” o contro le “banche”. È il potere fine a sé stesso, spogliato di etica e progettualità.
La rincorsa al capro espiatorio – lo straniero, l’élite, l’Europa, la finanza – non è altro che la scorciatoia con cui questa miseria si manifesta: in assenza di soluzioni strutturali, si vendono colpe prefabbricate. Il risultato? Una società più polarizzata, ma governata da forze indistinguibili nei meccanismi con cui gestiscono il consenso.
Il paradosso finale è che ciò che un tempo divideva – il pensiero politico – oggi è ciò che unisce nel vuoto: promesse simili, nemici comuni, slogan intercambiabili. L’unica vera ideologia rimasta è la gestione cinica della paura e del risentimento. È qui che il potere, ridotto a caricatura di se stesso, mostra tutta la sua miseria: si è fatto piccolo, pavido, conformista. E per questo, tragicamente uguale a se stesso, in ogni colore e bandiera.