Privacy violata: il vuoto normativo attorno alle agenzie investigative private

Ora legale & Diritti umani

Di

Domizia Di Crocco

In un’epoca in cui la tecnologia rende ogni movimento tracciabile, la tutela della riservatezza personale è un tema sempre più fragile. Eppure, è proprio sul terreno della privacy che si gioca una delle partite più delicate della democrazia contemporanea.

Nel silenzio spesso sottovalutato dell’opinione pubblica, il ricorso alle agenzie investigative private è in costante aumento. Da accertamenti in ambito lavorativo a verifiche nella sfera familiare, il controllo dell’altro è diventato una pratica diffusa. Ma quando il bisogno di sapere si trasforma in sorveglianza sistematica, il rischio di abusi è reale.

Non tutte le agenzie operano nel rispetto dei limiti fissati dalla legge. In alcuni casi emergono episodi gravi: raccolta illecita di dati sensibili, uso improprio di dispositivi per la registrazione audio-video, pedinamenti non autorizzati. Pratiche che, oltre a essere potenzialmente illegittime, mettono in discussione i fondamenti della dignità personale.

Il Regolamento Europeo sulla protezione dei dati personali (GDPR) prevede regole chiare in materia di trattamento dei dati, ma la loro applicazione è discontinua. Il Garante per la Privacy ha più volte sollecitato interventi puntuali, ma i meccanismi di controllo sono spesso deboli e le sanzioni, per quanto previste, arrivano tardi.

Il nodo centrale resta l’assenza di un albo professionale obbligatorio, di standard formativi vincolanti e di una vigilanza sistematica da parte delle autorità. In un settore che può incidere profondamente sulla vita privata dei cittadini, questo vuoto normativo rappresenta una falla pericolosa.

Il tema riguarda tutti. Perché oggi può trattarsi di una controversia familiare o lavorativa, ma domani la stessa dinamica potrebbe colpire chiunque, senza che vi sia possibilità di accorgersene o difendersi per tempo.

Occorre ripensare l’intero sistema, restituendo centralità al concetto di riservatezza come bene pubblico. La privacy non è un privilegio, ma un diritto. E come tale, va difesa non solo nei tribunali, ma anche nella cultura condivisa.

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