Cos’è che rende “casa” una città? Chi sceglie il suo futuro e la sua direzione? In che modo si può migliorare e strutturare una metropoli assecondando le infinite necessità di chi la vive occasionalmente o stabilmente? Quali voci ascoltare nella ridefinizione o determinazione delle aree urbane: quelle degli investitori e dei manager o quella delle famiglie e dei singoli cittadini che vivono e rendono viva quella città?
Queste e più domande sono emerse lo scorso lunedì 9 giugno in un gruppo di giovani uomini e giovani donne dialogando con una personalità di spicco della politica milanese, che ha desiderato raccogliere le opinioni circa la visione attuale della città di Milano.
Una città escludente a parere di alcuni, che, a causa dei prezzi delle case e del costo della vita alle stelle, spinge le famiglie nella cerchia più periferica; una città dalla mobilità difficile, soprattutto per i pendolari, costretti all’uso dell’automobile per assenza di collegamenti infrastrutturali pensati per le zone limitrofe; una Milano in cui trovare posto in un nido o asilo pubblico diventa sempre più un risiko, peggio di quello bancario, le cui regole del gioco appaiono ai più assurde e incompatibili con il caleidoscopio di realtà da cui è caratterizzata la città stessa; una metropoli pensata dagli investitori e vissuta dalla gente comune che, sì “bella la piazza nuova ma, se non mi risolvi i problemi di vivibilità, non ce ne facciamo molto”; un tessuto urbano multietnico e in crescita, sempre meno sicuro, poco attento e propositivo nei confronti dei minori non accompagnati e della solitudine degli anziani e, si sa, un popolo che non custodisce i suoi anziani e che non si prende cura dei suoi giovani, è un popolo senza futuro, un popolo senza speranza.
Chi mi legge sa che non amo omologarmi all’odierno pessimismo cosmico dei media ma che mi piace che i lettori vengano informati ma anche provocati dalle parole che indirizzo loro. Quindi rimbocchiamoci le maniche e cerchiamo di capovolgere il punto di vista e partire, anzi, ri-partire col piede giusto!
Da cittadina non nativa di Milano, sin dal maggio 2018, anno del mio trasferimento definitivo, mi sono sentita accolta e ho letto da subito in modo facile la città. Non ero in una zona propriamente tranquilla ma mi sentivo sicura anche nelle ore più tarde.
È una città difficile certo, dalle mille facce, sempre diversa, sempre in mutamento ma anche sempre la stessa. Basta a volte spostarsi di pochi passi per scoprire posti spettacolari e quasi non combacianti affatto con la Milano che hai imparato a conoscere. Una diversità così affascinante, una commistione tra antico e avanguardia, tra sacro e profano, tra il già e il non ancora, dove quest’ultimo però sembra essere davvero una possibilità realizzabile. Insomma, una città che se la sai capire e amare ti dà tanto ma a cui è necessario dare in cambio tutto.
La responsabilità civile negli ultimi tempi sembra ormai essere una caratteristica esclusiva dei pochi illusi che continuano a pensare che col proprio atteggiamento e comportamento le cose possano davvero migliorare. Questa caratteristica, invece, dovrebbe essere il punto di partenza da cui ognuno nel proprio piccolo si impegna a dare il suo contributo e il proprio piccolo qui a Milano ha un nome: quartiere. La forza di questa città, infatti, e chi viene da altre realtà lo comprende forse più di chi ci è nato, sono proprio i quartieri e la loro “gente”.
A volte è più forte l’appartenenza al quartiere che non al comune di Milano stesso, visto come “distante”.
Ecco che quindi si apre uno spiraglio di luce, bisogna puntare sui quartieri sulla loro riqualificazione in base al carattere del quartiere stesso e in base alla sua anima. Pluralità di anime che può e deve diventare la ricchezza della Milano del futuro, che siano in grado di dialogare tra loro attraverso comitati di quartiere e loro rappresentanti in comunicazione costante con i cittadini e i vari municipi. Pluralità di anime impegnate costantemente in attività di associazionismo culturale e di assistenza, negli oratori e realtà parrocchiali che andrebbero perciò incentivate e supportate. Un terzo settore “motore” dell’economia e della società che ha un impatto significativo sul territorio e sulla vita dei cittadini e che li rende parte attiva.
C’è bisogno di risvegliare la coscienza civile dei singoli e cercare di ripartire da lì per poter ripensare non soltanto Milano ma tutte le città. I problemi che nascono, soprattutto in una grande metropoli, non sono altro che l’indicatore di problematiche generali della società tutta, dovute ai tempi e al mutamento degli stessi.
A volte basta non fossilizzarsi sul problema ma trovare un equilibrio tra la necessità di affrontare le difficoltà e il bisogno di preservare il proprio benessere, implicandosi attivamente nella società, così facendo si potrà evitare che i problemi stessi diventino un ostacolo alla vita.
Dalla soluzione del piccolo (quartiere) passa la soluzione del grande (città). Questa è la strada giusta. Sono d’accordo.