Bracci di ferro: sport nazionale (e olimpico) della politica italiana
di Domizia Di Crocco
Dimenticate le Olimpiadi, lasciate perdere Wimbledon, e non parliamo nemmeno del Tour de France: il vero sport italiano è il braccio di ferro. Non quello da bar, col gomito sul tavolo e la birra nell’altra mano. No, il braccio di ferro istituzionale. Quello con giacca, cravatta, tweet passivo-aggressivi e comunicati stampa al vetriolo.
In Italia, il braccio di ferro è una disciplina multi-livello. Governo contro Regioni, partiti contro alleati, ministri contro sottosegretari, sindacati contro tutti. E poi ci sono loro, i maestri indiscussi: i leader politici. Lì il livello tecnico è altissimo. Roba da professionisti.
Prendiamo il caso recente: un ministro propone una riforma. Entro il tempo di un espresso al bar di Montecitorio, un altro ministro (possibilmente dello stesso governo) annuncia che quella riforma “così com’è non passerà mai”. Segue replica piccata, dichiarazioni incrociate, facce tese al TG1. Dopo tre giorni, si firma un compromesso che scontenta tutti. Ma attenzione: il braccio di ferro non finisce. Passa solo alla fase due: quella in talk show.
I migliori atleti di questa disciplina conoscono bene le regole non scritte. Ad esempio:
– Se il tuo avversario fa una conferenza stampa, tu fai un post sui social nello stesso momento.
– Se ti convocano a Palazzo Chigi, vai, ma con aria di chi “è venuto per senso di responsabilità, ma avrebbe di meglio da fare”.
– Se perdi, dì che era tutto previsto. Se vinci, dì che hai perso per salvare l’unità.
Il problema – che nessuno dei contendenti sembra considerare – è che il pubblico, cioè noi cittadini, ha finito i popcorn. Il continuo teatrino dei bracci di ferro politici ha smesso di divertire e ha iniziato a pesare. Perché mentre i potenti si allenano a chi tiene il braccio più fermo sul tavolo, là fuori l’Italia si muove – o meglio, traballa.
Inflazione, scuola, sanità, lavoro. Per ogni problema reale c’è una sfida muscolare simbolica, spesso priva di soluzioni. E la sensazione è che lo scopo non sia tanto vincere sul merito, quanto apparire più determinati. Più virili, si direbbe – se non fossimo ormai in un braccio di ferro anche sul linguaggio.
Alla fine, ciò che rende il braccio di ferro politico italiano unico al mondo è che non porta mai da nessuna parte. È una sfida statica. Una guerra di nervi, dove vincere equivale spesso a non muoversi. Il massimo del dinamismo? Cambiare posizione restando nella stessa poltrona.
Ogni tanto uno cede, ma solo perché ha fatto il calcolo che perdere oggi gli conviene domani. In questo senso, il braccio di ferro è anche un’arte marziale zen: stare fermi per sembrare forti. Non una vittoria, ma una simulazione prolungata.
E allora viene da chiedersi: e se, invece di continuare a fare bracci di ferro, la politica tornasse a fare… politica? Quella fatta di mediazione vera, idee, visione. Sì, lo so: è un’utopia. Ma anche le Olimpiadi, in fondo, nascono da un mito.
Nel frattempo, che si mettano almeno d’accordo su una cosa: trasmettere i prossimi bracci di ferro in prima serata, con cronaca in diretta e scommesse annesse. Perché se dobbiamo restare immobili, almeno che ci sia spettacolo.