La povertà come insicurezza: l’altra emergenza che l’Italia ignora

Attualità & Cronaca

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di Domizia Di Crocco

In Italia, la povertà non è più un tema di marginalità. È diventata un problema sistemico, che coinvolge milioni di persone, svuota di senso il lavoro e mette in discussione il patto sociale su cui si regge la Repubblica.

Secondo il nuovo report Caritas 2025, oggi nel nostro Paese ci sono 5,6 milioni di poveri assoluti. Si tratta del 9,7% della popolazione: quasi un italiano su dieci. Ma c’è un dato, in particolare, che inquieta più di tutti: quasi il 30% delle persone che si rivolgono alla Caritas ha un lavoro. Nonostante uno stipendio, non riescono a coprire i bisogni essenziali: casa, cibo, cure mediche.

Questa non è più solo una questione economica. È una crisi di sicurezza, nel senso più profondo del termine: la sicurezza di vivere con dignità, di crescere i propri figli, di avere un futuro che non sia fatto solo di precarietà, solitudine e incertezza.

Quando il lavoro non basta più

L’idea che il lavoro sia lo strumento per uscire dalla povertà è sempre stata uno dei pilastri della nostra democrazia. Ma se il lavoro non garantisce più la sopravvivenza, allora qualcosa si è rotto. E non si tratta solo di un problema di salari bassi. Si tratta di un’intera struttura economica che ha smesso di proteggere chi dovrebbe essere al centro: le famiglie, i giovani, chi produce valore ogni giorno.

L’abolizione del reddito di cittadinanza, sostituito da misure più frammentate e meno accessibili, ha lasciato scoperte centinaia di migliaia di persone. Solo il 15% degli ex percettori ha potuto accedere ai nuovi strumenti di sostegno. Gli altri sono semplicemente scomparsi dalle statistiche, ma non dalla realtà.

Sicurezza significa protezione sociale

Parlare di sicurezza, oggi, non può più significare solo ordine pubblico o controllo dei confini. Deve significare sicurezza sociale: garanzie minime di reddito, accesso alla sanità, all’abitare, all’istruzione. Perché è l’insicurezza diffusa, silenziosa, quotidiana a generare rabbia, sfiducia, isolamento. Ed è su quel terreno che crescono le tensioni, la disgregazione, perfino la violenza.

Serve una strategia strutturale. Servono salari dignitosi, una politica per la casa, investimenti nella sanità territoriale. E serve un’idea di Stato che non sia solo regolatore, ma anche garante. Uno Stato che non abbandona, ma accompagna.

Il tempo della propaganda è finito

Di fronte a numeri così gravi, non servono slogan, né scorciatoie ideologiche. Serve una consapevolezza nuova: la povertà non è un fallimento individuale, ma un sintomo del fallimento collettivo. E affrontarla non è carità: è giustizia.

Ogni governo viene giudicato, prima o poi, non solo dalle sue leggi, ma dalle sue omissioni. E oggi l’omissione più grave è ignorare che la vera sicurezza di un paese si misura nella possibilità, per tutti, di vivere senza paura del domani.

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