Dal “play” al “game”: la sinistra italiana e l’infanzia politica di un’opposizione senza sé
Analisi politica e sociologica della crisi della sinistra italiana alla luce dei concetti di “gioco” e “identificazione” secondo George Herbert Mead: una sinistra ancora nel “play” mentre la destra gioca al “game”. Tra ruoli immaginari e mancanza di strategia condivisa, l’opposizione si muove come un bambino che gioca alla maestra, ma non sa ancora entrare nella logica del gioco organizzato.
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Nel teatro della politica italiana contemporanea, la sinistra sembra essersi incagliata in una fase preadolescenziale del proprio sviluppo strategico e identitario. Per cogliere a fondo questo smarrimento, ci aiuta una metafora presa in prestito dalla sociologia di George Herbert Mead, che distingue tra il “play” e il “game” come fasi evolutive della coscienza del sé all’interno dei processi sociali.
Il “play”: recitare senza regole condivise
Nel play, il bambino assume ruoli uno alla volta: gioca al dottore, alla madre, al pompiere. Fa finta di sapere cosa vuol dire essere “quell’altro”, ma non ne comprende ancora l’interazione sistemica con gli altri ruoli. È esattamente quanto sta facendo oggi una parte rilevante della sinistra italiana. Conte gioca al leader del popolo, Landini al sindacalista barricadero, Schlein alla progressista europea, Fratoianni al rivoluzionario morale. Ognuno interpreta un personaggio ispirato da un passato idealizzato, ma nessuno costruisce davvero uno scenario coerente e condiviso.
In questa fase di “gioco a essere qualcun altro”, i leader della sinistra reagiscono agli stimoli politici costruendosi una falsa immagine di sé: si travestono da rappresentanti del “bene comune” o da “resistenti” all’autoritarismo meloniano, ma finiscono per rinchiudersi in un recinto autoreferenziale. Lo hanno dimostrato clamorosamente nell’irrilevanza mediatica e numerica del referendum su cui si sono lanciati Riccardo Magi e Landini, incapaci persino di leggere i dati minimi della realtà, come l’asticella del quorum.
Il “game”: dove manca l’altro generalizzato
Il passaggio al game, per Mead, avviene quando il bambino non solo recita dei ruoli, ma capisce che quei ruoli esistono in relazione agli altri. C’è un campo da gioco, delle regole, una struttura. Nel game, emerge la figura dell’“altro generalizzato”: cioè la capacità di vedere sé stessi attraverso gli occhi della comunità, di interiorizzare le aspettative sociali complesse.
Ed è proprio questa la fase evolutiva che manca alla sinistra radicale attuale. Non c’è visione del campo da gioco – quello europeo, quello costituzionale, quello liberaldemocratico – e non c’è neppure consapevolezza delle regole del gioco politico, che richiederebbero alleanze strutturali, narrazioni condivise, leadership diffusa, visione internazionale credibile. Soprattutto, manca la capacità di uscire da sé stessi per vedersi con lo sguardo dell’“altro generalizzato”, ovvero del cittadino mediano, dell’elettore pragmatico, dell’Europa che riforma e si difende.
La sinistra come alleata involontaria della destra
Come sottolineato da Valerio Federico in un’analisi impietosa, questa sinistra si rivela oggi la migliore alleata della destra meloniana. Lo è non perché ne condivida le posizioni, ma perché le consente, con il suo infantilismo ideologico, di apparire più razionale, coesa, addirittura moderna. Le parole d’ordine della sinistra sembrano uscite da una cassetta degli attrezzi polverosa: difesa statica del lavoro, no al riarmo senza visione geopolitica, adesione fideistica a cause internazionali che ignorano la realtà delle relazioni internazionali (Hamas incluso).
In questo quadro, la destra non vince perché è forte, ma perché l’avversario è rimasto al “gioco di finzione”, incapace di passare al gioco vero. Un gioco nel quale Meloni – piaccia o no – ha assunto un ruolo riconoscibile sul campo europeo e internazionale, mentre la sinistra si è trincerata dietro identità granitiche quanto minoritarie.
L’urgenza di un’opposizione adulta
Se la sinistra rimane nel play, l’unico modo per costruire un’opposizione credibile è che si formi un’area game-oriented: fatta di forze liberaldemocratiche, riformiste, popolari ed europeiste, capaci di costruire un’interazione reale con le dinamiche del paese e del continente. Una coalizione che, pur partendo da visioni diverse, condivida regole del gioco, obiettivi minimi, linguaggi comuni. E che riesca a proporre non solo la critica dell’avversario, ma un’alternativa praticabile, comprensibile, desiderabile.
Oggi, al contrario, la sinistra “gioca a fare opposizione” ma non lo è. Si arresta da sola, si interroga da sola, si sanziona da sola. Come un bambino che fa finta di essere il maestro, ma non sa ancora leggere la lavagna.