GdF 251°- una storica inaffidabilità?

Friuli Venezia Giulia

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Il Corpo delle Guardie di Finanza celebra il suo anniversario dalla sua asserita fondazione, il 251°. In altra sede abbiamo espresso i nostri dubbi sulla correttezza storiografica di tale numerazione, ma, comunque, qui ora vogliamo cogliere l’occasione per riepilogare all’opinione pubblica italiana una serie di situazioni che forse è bene non dimenticare. Dunque:

chi volesse cimentarsi con il non molto consueto studio della storia della Guardia di Finanza, probabilmente avrebbe anche modo di consultare qualcosa di relativo ai Corpi delle Guardie di Finanza pre unitari, ad esempio quello della Finanza Pontificia. Dopo l’era napoleonica, il ripristinato governo papale volle riformare l’intera amministrazione finanziaria dello Stato ed all’uopo incaricò della faccenda Monsignor Giovanni Mastai Ferretti, allora Vescovo di Senigallia e futuro Papa Pio IX. Ecco cosa, nella interessante relazione da lui compilata, egli scrive circa i finanzieri pontifici, che poi, come è noto, confluirono dopo l’unità d’Italia nel Corpo che precedeva l’attuale GdF: “Le Guardia di Finanza fanno contrabbando; meglio sarebbe sostituirle con civili armati al comando di un carabiniere”.
Era, questo, a come si vede, un giudizio di totale inaffidabilità sotto ogni aspetto che il futuro pontefice esprimeva circa il Corpo in argomento. Ma veniamo al secolo successivo, agli anni Trenta del Novecento, quando sul confine orientale d’Italia, allora spostato verso Est rispetto a quello attuale, le nostre terre avevano come limite quelle sotto sovranità dell’allora esistente regno di Jugoslavia, col quale il governo fascista di allora aveva stabilito rapporti di cordialità e di buona vicinanza. Questo confine, secondo i modi dell’epoca, era costellato, da entrambi i lati, di piccole caserme con piccoli presidi, di finanzieri sul lato italiano, e di guardie doganali jugoslave sul lato della nazione limitrofa. I due corpi non erano in contrasto fra di loro; anzi! Dell’argomento tratta una fonte indiscutibilmente obiettiva e credibile, cioè l’enorme diario manoscritto, in 287 volumi, inediti ma consultabili, presso il Civico Museo Triestino, diario scritto dal noto collezionista di armi e cose belliche Diego De Henriquez.
Ecco cosa vi leggiamo in proposito: vi era, all’epoca, un intenso traffico di varie merci di contrabbando attraverso quel confine, ed a condurlo in buona parte erano proprio quelle guardie poste a tutela del fisco. Avevano, stando a ciò che riferisce il De Henriquez, stabilito un accordo di buona intesa, per cui i finanzieri procuravano la merce richieste in Jugoslavia, mentre le guardie slave facevano altrettanto con le merci richieste in Italia (foglie di tabacco in particolare), dopo di che si compensavano le relative somme da buoni mercanti. Anche qui, è difficile parlare di affidabilità per la tutela del fisco italiano ad opera di quei finanzieri di allora. Ma qualcosa di analogo, sempre per questo territorio di confine, nella zona di Gorizia in particolare, è durato anche in tempi più recenti, fino all’esistenza delle regole agevolate per la zona di Gorizia, relativamente ad alcuni prodotti, ad esempio il burro, che veniva venduto con esenzioni da dazi, a condizioni però che venisse consumato su quel territorio.
Accadeva, invece, che periodicamente un carico di quel burro venisse trasportato fino a Trieste e qui venduto all’interno delle caserme del Corpo al personale, senza troppo clamore, naturalmente. Qualche volta, all’arrivo del suddetto corriere, qualche buontempone scherzoso affiggeva un foglio, poi subito rimosso, con sopra scritto: “Zaprto”, che è la variante carsolina della parola slovena con la quale si avvisa l’apertura del negozio, ma questo, mi si consenta, se pur significativo, può essere considerato peccato leggero e veniale, cose ben peggiori, ampiamente descritte dalle cronache dei media, la nazione italiana ha dovuto constatare, a partire soprattutto dagli anni Settanta. In effetti, nella Repubblica Italiana del dopoguerra, di impronta essenzialmente democristiana, fenomeni seri di corruzione notevole emersero rapidamente, ed a me, allorché entrai in servizio nel Corpo, negli anni Sessanta, venivano riferiti da vecchi sottufficiali che avevano dovuto occuparsi di quelle vicende specie negli anni Cinquanta: vicenda Ingic, vicenda del cosiddetto banchiere di Dio”, e così via. Quello che riferivano, a me curioso, quelli anziani miei dipendenti, era questo: essi avevano, in effetti, molte difficoltà a concludere indagini obiettive fino in fondo: ” Erano gli interventi politici che ci bloccavano ed i nostri superiori obbedivano agli stessi”, dicevano rassegnati quei disillusi vecchi finanzieri ormai prossimi al congedo. Credo che dicessero la verità; tuttavia, a partire dagli anni Settanta il Corpo fu protagonista di una serie di vicende che essendo parte della cronaca (nera) di questo dopoguerra, riteniamo qui solo di poter citare, senza approfondire, essendo gli approfondimenti relativi in buona parte già effettuati anche da noi, durante ormai 50 anni di attività del nostro Movimento. Non manca certo possibilità di riscontro e scelta, ma, per cominciare con una curiosità, possiamo citare quella volta che, all’interno del Nucleo Regionale di Polizia Tributaria di Milano (reparto a volte problematico), il personale di pulizia trovò per terra una busta, evidentemente smarrita, con dentro una bella somma, allora, di 400.000 lire.
Lo stipendio medio non raggiungeva le 100.000 lire mensili per gli ufficiali. Portata quella busta al Comando, nessuno ebbe il coraggio a richiederne la legittima consegna, tanto che il colonnello comandante, persona notoriamente corretta (vi sono anche quelli), si infuriò a tal punto che, versata quella somma al Fondo di Assistenza, vietò per un certo periodo, al suo reparto di effettuare verifiche fiscali a carattere generale, limitandosi solo al disbrigo di informative (ma anche queste non erano esenti da rischi, come dimostrò, anni puù tardi, la vicenda della Tangentopoli milanese). Furono fatti come questi che indussero anni dopo, un giudice di Pinerolo a scrivere in sentenza che esisteva una “tendenza genetica alla corruzione, nel Corpo, anche se, forse, non è proprio esattamente così. Vi sono anche onesti nelle Fiamme Gialle, e ne abbiamo conosciuti. Ma il problema della inaffidabilità è esistito, e troppi episodi ne sono stati a riprova.
E non si tratta solo di tangenti: all’inizio degli anni Settanta, a Genova, 4 pretori d’assalto (uno di questi poi ebbe un buon successo in politica) mandarono i locali finanzieri a controllare le carte detenute presso l’associazione che raccoglieva gli industriali del petrolio. L’esito dell’operazione fu clamoroso: risultò che i numerosi aumenti del prezzo del carburante, che allora angosciavano gli italiani, erano determinati non da fattori economici, come si asseriva ufficialmente, ma da accordi riservati di natura politica a danno dei cittadini stessi. Corruzione istituzionalizzata in grande stile, insomma. Finita la vicenda, un generale poi risultato massone, trasferì gli ufficiali che avevano eseguito con scrupolo le richieste dei pretori, per sedi ed incarichi non graditi, tanto che furono inutilmente presentate a loro difesa interpellanze parlamentari. Anche quello fu un episodio molto significativo circa la realtà del Corpo e la sua affidabilità istituzionale.
Tornando all’argomento principale, e cioè la corruzione, dato che dobbiamo restringere per motivi di spazio nella narrazione, vogliamo qui semplicemente ricordare alcuni casi clamorosi, dunque: vicenda Giudice-Lo Prete, ad esempio, nella quale come disse allora il bravo giornalista televisivo Emanuele Rocco, durante una diretta di telegiornale, si era verificata qui da noi la stessa realtà propria di solito delle cosiddette repubbliche delle banane e, cioè, i capi delle guardie erano anche i capi dei ladri; e ancora: vicenda della P2 di Licio Gelli e della massoneria deviata, con tutto il vertice della GdF obbediente alle direttive di una loggia massonica segreta ed operante in maniera eversiva verso il potere istituzionale; e quello fu il momento più basso: il vertice del Corpo era totalmente al servizio dell’antistato, una autentica excalation in campo corruttivo per il Corpo, pari solo alla altrettanta enorme inefficienza in campo operativo, dato il livello di evasione fiscale in Italia, il più alto fra i paesi avanzati.
E inoltre: caso MOSE, casi di ufficiali di grado elevato posti sotto inchiesta dalla magistratura ma lasciati nei loro posti di comando con note caratteristiche altissime fino agli ordini di cattura, magari recapitati mentre gli stessi erano seduti davanti alle loro scrivanie. A Bari, per esempio. Tangentopoli milanese ed altro ancora. Comunque nell’archivio del nostro Movimento conserviamo anche documentazione di giornali in proposito. Per chi volesse maggiori dettagli non possiamo dare consiglio migliore di quello di sfogliare, adesso si può fare anche online, le raccolte dei giornali principali del Paese, che riportano le relative cronache sugli eventi negativi della GdF, ma attenzione in tal caso: a noi è capitato di riscontrare e di denunziare su questo spazio online, che in almeno in un caso, una lettera del Giudice Casson era stata tolta dall’archivio informatico e sostituita con una foto di reclame commerciale (chi di era preso tale briga?). Meglio sarebbe, se possibile, in tali ricerche fare riferimento ai volumi rilegati dove vengono ancora conservati. Ma adesso dobbiamo davvero avviarci a concludere; prima, però, mi torna in mente quando, nel 1965, entrai in Accademia della GdF, allora a Roma. Ancora da allievo mi capitava di trovare, nei corridoi di quella grande caserma, a volte gettate a terra o sui davanzali, pacchetti di sigarette vuote (di solito Marlboro) regolarmente tutti non di monopolio.
Un giorno ne raccolsi uno (chiedo venia per l’ingenuità, ero allievo, ripeto!) e lo mostrai al tenente istruttore che poi divenne magistrato. Questi sorrise, mi dette una pacca sulla spalla e mi disse: lasci perdere, getti quel pacchetto nella spazzatura. Ma forse, in effetti, aveva ragione lui: non è lecito parva componere magnis. Tuttavia anche quella realtà era “reale”, e se si vuole realmente scrivere la storia autentica di una realtà, quella delle Fiamme gialle, riteniamo sia utile tenere presente anche quelle cose. Sono anch’esse un argomento di valutazione circa il concetto di affidabilità che non può non riguardare questo Corpo, stanti i pesantissimi precedenti del Corpo stesso. Chi è inaffidabile? E che cosa è l’inaffidabilità? Chi è abilitato a dichiararla, magari un generale del Comando generale che è distaccato alla sede di Venezia?
Ci torna in mente, ad esempio, il caso Rapetto, questo ufficiale che aveva in corso da tecnico di eccezionale capacità informatica quale è una delicata inchiesta relativa all’uso dei videopoker, ricevette una lettera scritta dal comandante in seconda dell’epoca, il quale lo invitava a passare l’indagine per il prosieguo ad un altro ufficiale, si oppose il magistrato e l’allora colonnello Rapetto potè terminare quella inchiesta che accertò frode miliardaria, che fu poi, con un provvedimento legislativo, in gran parte condonata.
Si potrebbe citare ancora il caso del bravissimo capitano Ibba, che per primo aveva scoperto l’imbroglio dello scandalo dei Petroli del caso Giudice e Lo Prete ma che fu pesantemente frenato, ed altro ancora. E ora concludiamo davvero: qualche tempo fa, a Trieste, ero su un autobus di linea e mi apprestavo a scendere, vicino la fermata c’era una pattuglia della Guardia di Finanza, un viaggiatore, evidentemente pieno di spirito ed ironia, se ne uscì con questa frase: C’è la Finanza, attenti ai portafogli! La cosa mi infastidì ma non ritenni di intervenire. Pensai: peccato che vi sia stato qualcuno che ha ridotto a questo stato la stima vero Corpo.

Dott. Vincenzo Cerceo – Colonnello c.a. della Guardia di Finanza

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