Il nome di Carlo Cottarelli è legato indissolubilmente alla spending review, da quando il governo Letta nel lontano 2013 gli affidò appunto l’incarico di controllare la spesa pubblica che pareva fuori controlli, Purtroppo i risultati non sono stati all’altezza, e dopo poco Cottarelli dovette alzare bandiera bianca. Sembrava allora che si trattasse di una missione impossibile. Insomma Cottarelli fece la stessa di Enrico Bondi un anno prima, quando sotto il governo Monti, fu arruolato nello stesso ruolo. Da allora Cottarelli ha sempre pontificato sulla necessita di controllare i conti pubblici e la spesa. Da qualche tempo lavora ad un osservatorio della universita del Sacro cuore di Milano, Osservatorio CPI ( conti pubblici italiani). Ebbene detto istituto ha di recente pubblicato una ricerca intitolata “Formiche e cicale: quale governo ha speso di più negli ultimi decenni?”. Ebbene secondo le analisi degli esperti della università milanese, il governo che avrebbe risparmiato di piu negli oltre trent’anni oggetto della ricerca sarebbe stato quello della Meloni nel 2024. “Escludendo i momenti di crisi, in cui il Pil scendeva, gli incrementi più consistenti sono quelli dei governi Berlusconi II e III nei primi anni Duemila, mentre le principali riduzioni si devono ai governi Berlusconi I e Dini (1994-1996) e ai governi Renzi e Gentiloni (2014-2018). Il calo più forte è però quello del 2024, anche se riflette la fine dei bonus edilizi che erano stati introdotti comunque come misura temporanea durante la crisi Covid.” si legge nel rapporto. Sempre secondo il report assai dettagliato e preciso, I primi tagli alla spesa avvengono durante il Governo Ciampi (aprile 1993 – maggio 1994) e, soprattutto, durante i governi Berlusconi I (maggio 1994 – gennaio 1995), caduto dopo l’approvazione di una legge di bilancio restrittiva, e Dini (gennaio 1995 – maggio 1996), che ne ha curato l’implementazione. Questo taglio, pari al 2% del Pil e che ha portato la spesa al 40,4% del Pil nel 1995, è stato il secondo più forte degli ultimi decenni, inferiore solo al taglio operato dal governo Meloni, che tuttavia si è fondato sull’interruzione dei bonus edilizi adottati durante la ripresa post-Covid, e considerati temporanei fin da principio. In misura più modesta, la spesa cala ancora durante il primo governo Prodi, vista la finalità strategica per l’Italia di rispettare i criteri del Trattato di Maastricht sulla strada verso l’adozione dell’euro. La spesa oscilla intorno al 40,5% del Pil durante i due governi D’Alema e riprende a crescere col secondo governo Amato. La crescita della spesa accelera durante i governi Berlusconi II e III, salendo dal 40,3% nel 2000 al 43,1% nel 2006 (anno in cui è implementata l’ultima legge di bilancio presentata dal Governo Berlusconi III). In questo periodo gli aumenti sono particolarmente forti per la spesa in conto capitale, ma coinvolgono tutte le principali voci (stipendi, acquisti di beni e servizi, pensioni). Dopo una breve ma significativa riduzione durante il governo Prodi II, la spesa risale al 42,8% del Pil in concomitanza della crisi finanziaria del 2008, a causa sia di un aumento delle risorse spese che della contrazione dell’1% del Pil reale nello stesso anno. Nel 2009, con un nuovo aumento in termini assoluti e l’ulteriore calo del 5,3% del Pil reale, la spesa arriva al 46,7% A fronte di un minore impegno di risorse in termini reali, la spesa prima si riduce fino al 44,4% nel 2011 e poi risale al 46,1% nel 2013 a causa della caduta del Pil nel biennio 2012-13, mentre l’Europa meridionale attraversa la crisi del debito sovrano. Il governo Renzi ottiene una riduzione dell’1,1% del Pil tra il 2014 e il 2016, seguito da un ulteriore contenimento durante il governo Gentiloni (-0,4% tra il 2016 e il 2018, quando la spesa scende al 44,7%). La spesa resta stabile nel 2019 per poi saltare al 53,4% del Pil nel 2020, anno in cui la crisi Covid porta il Pil a cadere dell’8,9%. La spesa si riduce negli anni successivi, prima per effetto della ripresa economica, e, nel 2024, della cessazione dei bonus edilizi. Nel 2024, la spesa pubblica primaria si attesta al 46,7% del Pil.
Il governo Meloni ha deciso nella sostanza di fermare la corsa della spesa pubblica. Tra il 2025 e il 2031 la spesa pubblica netta dovrà crescere al più dell’1,5 per cento all’anno. La traiettoria non considera la spesa per il rimborso degli interessi sul debito, le uscite una tantum o legate al ciclo economico (per esempio in caso di crisi) ed esclude anche i fondi provenienti dall’Unione europea. Fuori dai tecnicismi, ciò significa che la spesa pubblica reale – cioè al netto dell’inflazione – dovrà rimanere ferma al palo al livello odierno. O addirittura scendere, se il rincaro dei prezzi dovesse attestarsi sul 2 per cento annuo, obiettivo di medio-termine della Bce. La prudente poltiica del ministro Giancarlo Giorgetti sembra avere sortito gli effetti sperati, considerando la serie di promozioni arrivate al nostro da agenzie di rating e banche d’affari. Lo spread col bud del nostro decennale è ormai stabilmente sotto i 100 punti base. Un traeittoria positiva che viene certificata anche da una voce atorevole e certamente non vicina al centrodestra come quella del professore Carlo Cottarelli.