Damasco in lutto: Attacco alla Chiesa di Sant’Elia, il Vaticano leva la sua voce per la pace

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Un’ombra di dolore e sgomento si è stesa sulle comunità religiose di tutto il mondo dopo il barbaro attacco alla Chiesa greco-ortodossa di Sant’Elia a Damasco.

Il Vaticano, con la solennità che lo contraddistingue nei momenti cruciali, ha espresso il suo profondo cordoglio attraverso un telegramma ufficiale firmato dal Cardinale Segretario di Stato Pietro Parolin.
Papa Leone XIV, con parole che toccano il cuore, ha definito l’attentato “una ferita aperta per l’intera umanità”. L’evento, consumatosi il 23 giugno 2025, ha scosso nel profondo la Siria e l’intera comunità cristiana globale, riproponendo con urgenza la necessità di proteggere i luoghi sacri e di promuovere un dialogo interreligioso autentico, soprattutto in contesti dilaniati dai conflitti.
La Chiesa di Sant’Elia, un vero gioiello architettonico risalente al XII secolo e simbolo di resilienza spirituale per la comunità greco-ortodossa siriana, è stata brutalmente violata. Testimonianze locali riferiscono di esplosioni assordanti e spari che hanno interrotto una celebrazione serale, causando decine di vittime tra i fedeli raccolti in preghiera. Le immagini strazianti dei danni strutturali – affreschi secolari ridotti in polvere, icone annerite dalle fiamme, l’altare principale profanato – raccontano di una profanazione che va ben oltre la distruzione materiale, ferendo l’anima stessa di un popolo.
Papa Leone XIV, nel suo messaggio accorato, ha lanciato un appello commovente: “Raccogliendo il grido disperato di chi piange, la Chiesa non dimentica che ogni atto di odio rappresenta una sconfitta per l’intera famiglia umana”. Le parole del Pontefice, intrise di riferimenti biblici alla misericordia (“Come il buon samaritano, chiniamoci sulle ferite di chi soffre”), sottolineano l’impellente necessità di trasformare il lutto in un’azione costruttiva, invitando governi e società civili a “proteggere i più vulnerabili e a risanare le fratture che minano la convivenza pacifica”.
L’intervento del Santo Padre non si limita a una mera condanna formale. La scelta ponderata delle parole da parte del Cardinale Parolin – l’uso del termine “nazione” – risuona come un atto di saggezza politica intriso di carità evangelica. Osservatori internazionali interpretano questa sfumatura come un tributo alla complessa identità siriana, dove cristianesimo e islam hanno convissuto per secoli, e al contempo come un invito pressante a superare le logiche di potere per riconoscersi in un destino condiviso.
Sua Eminenza, da decenni figura chiave della diplomazia vaticana in Medio Oriente, dimostra ancora una volta la sua straordinaria capacità di utilizzare un linguaggio che coniuga rigore teologico e pragmatismo. Non a caso, nel 2023, fu il principale artefice degli accordi tra Armenia e Azerbaijan, provando che la Croce può essere strumento di mediazione anche negli scenari geopolitici più infernali.
L’ultimo paragrafo del telegramma – siglato dal Segretario di Stato – contiene un’allusione evocativa al Cantico delle Creature di San Francesco: “Dove regna la devastazione, possa fiorire il seme dei costruttori di pace”. Un auspicio, un’invocazione, un impegno a non perdere la speranza, anche quando tutto sembra perduto.
Robert Von Sachsen

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