Non è diffamazione denunciare gli affitti in nero all’amministratore del condominio, se manca la volontà di danneggiare la reputazione dei proprietari. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione con la recente sentenza n. 22335 del 13 giugno 2025.
Secondo i giudici, le espressioni utilizzate non hanno contenuto diffamatorio; per questo motivo, la Corte ha annullato la condanna nei confronti dell’inquilina che aveva portato a conoscenza dell’amministratore condominiale gli affitti in nero percepiti dai proprietari di casa. Scopriamo perché.
Il fatto
La vicenda trae origine da un appartamento in condominio concesso in affitto. L’inquilina aveva inviato all’amministratore del condominio una lettera raccomandata, nella quale denunciava i soci della società proprietaria dell’appartamento di aver convertito gli affitti brevi in affitti ad uso civile senza registrare il contratto e pretendendo di ricevere il canone “in nero”.
Accuse gravi, tanto da portare i proprietari a denunciare la donna per diffamazione; denuncia che, come detto, aveva portato alla condanna dell’imputata.
Anche una raccomandata può ledere la reputazione
In effetti, la lettera, benché in busta chiusa e diretta all’attenzione dell’amministratore del condominio, era potenzialmente diretta a più persone. Infatti, era indirizzata presso la sede legale della società e non recava alcuna specificazione in ordine al suo carattere personale o riservato.
Detto in altri termini, essa non era idonea ad assicurare la riservatezza del contenuto, potendo essere letta e conosciuta anche da altre persone (per esempio, dagli addetti all’apertura e smistamento della corrispondenza).
Il contenuto non è diffamante
La Cassazione ha però annullato la condanna ritenendo non diffamante il contenuto della raccomandata. Le espressioni utilizzate dalla donna – si legge nella sentenza – “pur dando una connotazione negativa ai destinatari, sono prive di valenza offensiva o denigratoria della loro reputazione”.
Per valutare il carattere diffamatorio, infatti, occorre tenere presente il contesto ambientale e temporale in cui sono state pronunciate le esternazioni ritenute diffamanti.
Nel caso di specie, le espressioni contenute nella missiva s’inserivano in un contesto di elevata conflittualità tra le parti. Una situazione di tensione dovuta al fatto che la società aveva sublocato l’appartamento all’imputata “in nero”, non essendo stato registrato il contratto, e pretendendo il pagamento del corrispettivo in contanti. Il rifiuto dell’imputata di pagare aveva ingenerato un contenzioso anche in sede civile, che aveva portato allo sfratto dell’imputata proprio per la mancata di un contratto di locazione sottoscritto tra le parti.
Manca la volontà di danneggiare la reputazione altrui
Da qui la decisione della donna di scrivere all’amministratore, per portalo a conoscenza degli illeciti commessi dalla società. In tale comportamento – secondo la Cassazione – non è ravvisabile la volontà di danneggiare il proprietario indisciplinato e, dunque, non è configurabile il reato di diffamazione.
L’elevata conflittualità del contesto in cui sono state espresse le affermazioni incriminate, depone nel senso che con esse la donna intendeva denunciare il comportamento delle persone offese da essa ritenuto contrario alla legge, ma soprattutto lesivo dei propri interessi e di cui intendeva portare a conoscenza l’amministratore del condominio. Ne consegue che non è ravvisabile la volontà di danneggiare il proprietario indisciplinato.
FONTE: Immobiliare.it