L’Italia del lavoro povero

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Dal caso Parelli ai 336mila minori che lavorano invece di studiare

 

Muore nell’ultimo giorno di stage

Lorenzo Parelli aveva 18 anni quando muore il 21 gennaio 2022, colpito da una putrella d’acciaio durante l’ultimo giorno del suo stage di alternanza scuola-lavoro alla Burimec di Lauzacco, in provincia di Udine.

 

A ottobre 2024 sono arrivate le condanne in primo grado per omicidio colposo al tutor aziendale e a un collega di lavoro. Le motivazioni della sentenza, depositate a maggio 2025, hanno stabilito che sono mancati “controllo e formazione” adeguati. Lorenzo, secondo i giudici, “doveva fare l’osservatore”, ma in azienda mancavano pianificazione delle attività e una supervisione continua.

 

Non è stato un caso isolato. Solo primo trimestre del 2025 hanno già perso la vita 5 studenti in situazioni simili. La morte di Lorenzo ha riacceso i riflettori su un problema strutturale, quello dello sfruttamento del lavoro minorile e povero in Italia.

 

336 mila minori al lavoro. Ma nessuno ne parla

Il 12 giugno 2025 avrebbe potuto segnare una svolta nel dibattito sul lavoro in Italia. Invece, la notizia è stata completamente ignorata dai principali quotidiani nazionali e raccolta solo da agenzie specializzate e siti del terzo settore. In quella data, UNICEF Italia ha presentato per la prima volta dati ufficiali sugli infortuni mortali dei lavoratori minorenni, mentre Save the Children ha pubblicato l’indagine “Non è un gioco”, che rivela lo sfruttamento sistematico del lavoro giovanile.

 

Il 6,8% dei minori tra i 7 e i 15 anni svolge o ha svolto una attività lavorativa. Significa che oltre 336.000 bambini e adolescenti sono coinvolti in attività lavorative quando dovrebbero essere protetti e a scuola. Più di 80.000 ragazzi tra i 15 e i 17 anni lavorano regolarmente. Non si tratta di lavoretti occasionali perché il 58,7% di questi minori svolge attività continuative.

 

I settori coinvolti confermano le filiere del lavoro povero italiano. Il 25,9% lavora in campagna, spesso nelle aziende agricole che riforniscono la grande distribuzione. Il 17,1% si trova nei cantieri edili, il 16,2% nelle attività commerciali al dettaglio. Minori che lavorano per pochi euro, permettendo a interi comparti di mantenere bassi i costi di produzione.

 

La geografia dello sfruttamento segue le linee della povertà. Le regioni del Sud registrano i tassi più elevati: 10,7% in Sicilia, 9,3% in Calabria, 8,5% in Puglia. Numeri che rivelano come la crisi economica del Mezzogiorno si traduca in sfruttamento minorile sistematico.

 

Nel primo trimestre 2025, cinque studenti morti durante stage. Come Lorenzo (ph web)

L’Industria del lavoro sottopagato

Questi dati si intrecciano con una realtà più ampia e complessa. Secondo il Rapporto Istat del 22 maggio 2025 un lavoratore su cinque in Italia è “a basso reddito”. Il 12% sono working poor, circa 3 milioni di persone che guadagnano meno di 11.500 euro netti l’anno. Le categorie più colpite sono le donne (26,6%), i giovani sotto i 35 anni (29,5%) e i cittadini stranieri (35,2%).

 

Un caso emblematico è il comparto turistico-alberghiero. Un’inchiesta di giugno 2025 ha svelato che nella ristorazione i lavoratori stabili guadagnano circa 10.000 euro lordi annui, quelli a termine si fermano a 5.500 euro, gli stagionali a 7.100 euro. Il turismo italiano si regge su un esercito di lavoratori poveri.

 

I padroni del sistema

Il sistema dello sfruttamento minorile ha nomi e beneficiari precisi. I 336.000 minori lavoratori rappresentano un bacino di manodopera a costo zero per molte aziende. Il 66,9% proviene da famiglie a basso reddito, spesso costrette a chiudere un occhio o ad accettare compromessi pur di sopravvivere.

 

Nel settore agricolo, le grandi catene della distribuzione alimentare acquistano prodotti a prezzi stracciati grazie alla manodopera minorile nei campi gratuita o sottopagata. Nell’edilizia, il sistema dei subappalti consente alle imprese di impiegare lavoratori giovani, privi di contratto e tutele, riducendo i costi per le grandi società di costruzioni. Nel commercio al dettaglio, piccoli negozi fanno lavorare minori per ore senza alcun diritto, consentendo ai grandi marchi del retail di acquistare servizi a prezzi imbattibili.

 

La trappola del lavoro povero

Il cosiddetto “caporalato urbano”,  fatto di contratti fittizi, paghe da fame e orari abusivi, non danneggia solo chi lo subisce, ma l’intero sistema economico. Il lavoro povero genera bassa produttività, che a sua volta giustifica salari bassi in un terribile circolo vizioso. Le disuguaglianze nelle condizioni di partenza delle famiglie si trasformano in divari educativi. Il risultato è la trasmissione intergenerazionale della povertà. Dunque, chi nasce in basso, spesso resta in basso.

 

Dietro i prezzi bassi della grande distribuzione, bambini che lavorano nei campi (ph web)

Le notizie che non fanno notizia

La morte di Lorenzo Parelli non è stata un incidente isolato, ma il segnale di un sistema che scarica sulle fasce più deboli i costi della povertà lavorativa, compresa quella che coinvolge bambini e adolescenti. I profitti invece restano privatizzati, concentrati nelle mani di grandi gruppi industriali, catene della distribuzione, colossi dell’agroalimentare e dell’edilizia, che mantengono margini elevati comprimendo i costi del lavoro.

 

Il silenzio mediatico su questi dati del 12 giugno 2025 non è casuale. Rivela come il sistema protegga gli interessi economici di chi trae vantaggio dal lavoro povero, anche quando coinvolge minori. Mentre si celebrano i “record occupazionali”, pochi si chiedono che tipo di lavoro viene prodotto, a quali condizioni, chi ne paga davvero il prezzo?

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