Codice Rosso: l’emergenza silenziosa che ci riguarda tutti

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Violenza di genere, strumenti giudiziari e battaglia culturale: il Procuratore Ciro Angelillis racconta la realtà oltre le statistiche e chiama in causa l’intera società civile

Commento discorsivo all’intervista del Procuratore Aggiunto Ciro Angelillis

 

di Tommaso Garofalo

Un quadro lucido e penetrante sulla realtà della violenza di genere e del Codice Rosso

L’intervista al Procuratore Aggiunto della Repubblica di Bari, Ciro Angelillis, rappresenta un documento prezioso per comprendere la portata, la complessità e le sfide legate al fenomeno della violenza di genere e domestica nel nostro Paese.

Con chiarezza, rigore e sensibilità, Angelillis ci guida all’interno di una realtà che, purtroppo, da oltre un decennio si presenta con numeri stabili e allarmanti, e che appare sempre più come una vera e propria emergenza sociale strutturale.

Nel solo circondario barese, ogni anno si registrano tra le 1300 e le 1400 denunce per reati riconducibili al cosiddetto Codice Rosso – la normativa emergenziale introdotta per affrontare i reati di violenza domestica, sessuale e di genere. Di queste, circa il 20-30% sfocia nell’adozione di misure cautelari. Una percentuale molto alta, che rispecchia una tendenza nazionale, con un’incidenza omogenea su tutto il territorio italiano e che trova riscontro anche nel panorama europeo.

Il fenomeno, osserva Angelillis, è trasversale: colpisce ogni classe sociale, ogni fascia d’età, e non è più confinato nei contesti di degrado o marginalità. Si manifesta nei rapporti di coppia, all’interno delle famiglie, e spesso coinvolge anche i giovani.

È evidente – e qui sta una delle riflessioni più forti del magistrato – che la violenza di genere non è più un fenomeno sommerso come un tempo. Se i numeri sono stabili, è anche perché è cresciuta la consapevolezza delle donne e, con essa, la propensione a denunciare.

Questo è un segnale culturale importante, che si affianca a un dato giudiziario complesso.

Infatti, le difficoltà dell’indagine sono numerose. Quando la violenza avviene in ambito familiare o intimo, accertare i fatti diventa assai più arduo che nei reati “di strada”.

La violenza non è solo fisica: esistono dimensioni difficilmente documentabili come la violenza psicologica, economica o morale, che spesso sfuggono ai meccanismi classici della prova penale. L’urgenza di intervenire si scontra con l’esigenza di approfondire: un equilibrio delicatissimo, perché da una valutazione sbagliata può dipendere, letteralmente, la vita di una persona.

Molto lucido è anche il passaggio sull’evoluzione dell’approccio della magistratura: oggi si riconosce la necessità di un sapere integrato, che va oltre il diritto. Le vittime di violenza non possono essere trattate come quelle di una rapina o di un furto. Le reazioni possono essere contraddittorie, emotivamente ambivalenti, e questo non ne compromette la credibilità. Al contrario, è necessario formarsi per evitare interrogatori giudicanti e pregiudizi radicati: la vittima non ha un solo volto né una sola reazione, ed è giusto che l’intero sistema giudiziario impari a riconoscerlo.

L’altro grande capitolo affrontato riguarda l’evoluzione legislativa. Dal 2009 ad oggi, l’Italia ha prodotto una quantità rilevante di norme che, con il Codice Rosso, hanno rafforzato gli strumenti di intervento e tutela: arresti in flagranza differita, misure cautelari rapide, uso obbligatorio del braccialetto elettronico, allontanamento coatto. Il legislatore ha tracciato una corsia preferenziale per questi reati, imponendo alla magistratura e alla polizia giudiziaria di trattarli con massima priorità, come accadeva in passato per terrorismo e mafia.

Tuttavia, Angelillis mette in luce anche le criticità: alcune misure, come l’introduzione del reato autonomo di femminicidio, sono oggetto di dibattito. Non tanto nella loro funzione simbolica, ma nella reale utilità giuridica, poiché già oggi gli omicidi di donne possono essere puniti con l’ergastolo grazie alle aggravanti. Il rischio è quello di creare una norma ansiolitica, più rassicurante che efficace.

Il punto cruciale dell’intervista emerge con forza nella parte finale: la legge non basta. Nonostante l’apparato normativo, i numeri restano stabili perché il problema affonda le radici in una cultura patriarcale ancora molto presente. È qui che Angelillis si fa promotore di una visione civile e pedagogica, affermando che questa guerra si vince nelle retrovie, non solo nei tribunali. Le vere trincee sono le scuole, le famiglie, le parrocchie, i centri sociali, tutti quei luoghi in cui si può fare educazione affettiva, rispetto reciproco, superamento degli stereotipi.

Molto significativa è anche l’osservazione finale: quando si tengono incontri pubblici, specialmente con i giovani, sono quasi sempre le ragazze ad essere presenti. I ragazzi, invece, spesso si sentono estranei al problema, come se la violenza di genere non li riguardasse.

Ma la riforma culturale di cui parla il procuratore può avvenire solo se coinvolge tutta la comunità, a partire proprio dagli uomini e dai ragazzi.

Infine, una nota importante riguarda i Centri Antiviolenza (CAV), veri e propri presìdi sul territorio, che accompagnano le donne nel percorso di denuncia, protezione e ricostruzione. L’efficienza di questi centri, insieme alla capacità della polizia giudiziaria di indirizzarvi immediatamente le vittime, rappresenta un punto di forza del sistema italiano.

L’intervista del dott. Angelillis è un invito a guardare alla violenza di genere con uno sguardo complesso, privo di semplificazioni, ma soprattutto con uno sguardo collettivo. Le leggi e le misure giudiziarie sono indispensabili, ma non bastano. La vera svolta sarà educativa, culturale, sociale. E per ottenerla, serve l’impegno di tutti.

Tommaso Garofalo

Credit foto: Giustiziainsieme.it

 

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Nota del redattore

Tommaso Garofalo scrive per il web su diverse testate giornalistiche, occupandosi di storie del
territorio, dialogo interculturale e cooperazione.
È attivo nel Rotary e promotore di iniziative tra Italia e Balcani.

 

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