Il galletto e la gallinella

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Putin canta, Ursula becchetta, Trump caccia e spennella: geopolitica da pollaio tra Mosca, Bruxelles e Washington. Mentre Putin si atteggia a gallo imperioso e Ursula becca da tutte le parti, Donald Trump si diverte a lanciare granaglie (dazi) e minacce (ultimatum). Ne nasce una tragicommedia geopolitica dove il corteggiamento del Cremlino alla Commissione potrebbe essere l’uovo di Colombo.


In un’aia globale sempre più caotica, il galletto Putin continua a zampettare con cipiglio, gonfiando il petto tra un bombardamento a Kyiv e una processione mistica a suon di icone ortodosse. Un tempo dato per malato, zoppo, tramortito dalle sanzioni e sull’orlo di una crisi di potere, oggi il gallo del Cremlino mostra che di coccarde ne ha ancora, anche se spennacchiate. Solo che il pollaio non è più quello di una volta, e oggi la gallina non è Kiev, bensì Bruxelles.

Dall’altro lato del campo, Ursula von der Leyen, la gallinella d’Europa, si ritrova nel mezzo di un pollaio in rivolta: i verdi starnazzano, la sinistra lancia uova (marce) sotto forma di mozione di censura, e pure i galli socialisti e liberali del PPE covano vendette sotto il piumaggio dell’attendismo. Per lei, dopo l’ultimo summit con Trump e l’accordo commerciale indigesto come un chicco avariato, è cominciata una muta anticipata, e non solo politica.

E poi c’è lui: Donald Trump, il contadino-padrone del pollaio occidentale. Tornato a distribuire dazi come mangime transgenico e ultimatum come granate nei silos, sta giocando a fare il giocoliere con galli e galline. Da un lato minaccia Putin col bastone delle sanzioni, dall’altro schiaffeggia Ursula col ramo secco di accordi doganali capestro. E, va detto, con qualche ceffone ben assestato: il summit di Turnberry ha lasciato segni visibili nelle penne della povera gallinella tedesca.

Ma attenzione: in questo teatrino agro-politico, il galletto russo – che non può più razzolare liberamente in Ucraina per colpa della sorveglianza armata americana – potrebbe trovare una nuova distrazione. Sedurre Ursula. Sì, proprio lei, la gallinella ferita, becchettata, isolata nel suo angolo d’aia, ma ancora reggente del pollaio comunitario.

Putin ha già iniziato a cantare per attirarne l’attenzione: ha mandato segnali di finta pace, ha paventato tregue aeree, ha persino ordinato al portavoce Peskov di imbellettarsi con frasi vagamente concilianti. Il messaggio è chiaro: “Se Trump ti tratta come una gallinella da torchiare, io posso trattarti da regina del pollaio”. Del resto, cosa c’è di più umiliante per il contadino americano di vedere il suo vecchio gallo da combattimento flirtare con la sua ex alleata?

La geopolitica, si sa, è fatta anche di simboli. E se Putin non può conquistare Kyiv, può almeno far cadere Bruxelles nel suo cortile. Non con un’invasione, ma con un invito a cena – servito freddo come un compromesso, condito con idrocarburi e sconti sui fertilizzanti. Il canto del gallo moscovita è anche un lamento di solitudine imperiale, ma Ursula – ormai maltrattata da sinistra, destra e oltreoceano – potrebbe almeno ballare un valzer con lo zar.

Nel frattempo, i droni ucraini colpiscono, i dazi colano come pioggia acida sulle economie, e gli eurodeputati sbattono le ali senza sapere dove volare. In questo pollaio isterico, tra chicchi avvelenati e piumaggi d’orgoglio, resta una sola certezza: nessuno vuole finire nel forno, ma tutti rischiano di finirci per colpa di un’altra gallina che – per ora – non ha ancora cantato.

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