Come Danae nell’Europa assediata: cullare i figli mentre l’abisso chiama

Attualità & Cronaca

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Nel cuore dell’Europa, oggi, si respira un tempo sospeso. I venti di guerra non sono più metafora: soffiano da est e da sud, tagliano le frontiere, scuotono le coscienze. L’Europa, come Danae, culla i suoi figli in una botte chiusa, illudendosi che il legno basti a contenere l’abisso. Ma l’abisso attende. E noi, figli di questa culla, siamo stremati.

Da Gaza, il grido dei civili sotto assedio squarcia il silenzio diplomatico. Le piazze si riempiono, le bandiere si alzano, le parole si fanno pietre. L’ingiustizia si mostra nuda, e chi la nomina viene tacciato di squilibrio. Intanto, l’Ucraina si prepara a un altro inverno di trincee e blackout, mentre l’Europa balbetta tra aiuti militari e stanchezza sociale.

Siamo nel mezzo di una crisi multipla: geopolitica, energetica, esistenziale. Le bollette salgono, i salari arrancano, le paure si moltiplicano. Ogni sera addormentiamo i nostri figli con fiabe che non parlano di missili, ogni mattina ci svegliamo per distrarci nel lavoro, come se la produttività potesse anestetizzare il dolore.

La politica europea, stretta tra prudenza e paralisi, si rifugia nel linguaggio tecnico, dimenticando il sangue. Si parla di “equilibri”, di “interessi strategici”, di “contenimento”. Ma chi contiene il pianto di chi ha perso tutto? Chi equilibra il peso di un missile su una scuola?

Danae, chiusa nella sua botte, è oggi l’immagine di un continente che protegge ma non agisce, che osserva ma non interviene, che culla ma non sogna. Eppure, il sogno è necessario. Non come fuga, ma come progetto. Un sogno politico, etico, umano: quello di un’Europa che non si limiti a sopravvivere, ma che osi vivere.

Perché l’abisso non si colma con il silenzio. E i figli di Danae meritano un futuro che non sia solo una tregua tra due guerre.

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