Italia ultima nel G7 per spesa sanitaria

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Solo il 6,3% del PIL contro il 7,1% dell’OCSE. In media 854 dollari per abitante in meno rispetto all’Europa. Un divario di 43 miliardi, che pesa su liste d’attesa record. Nel 2024, quasi 6 milioni di persone hanno rinunciato a curarsi

La notizia è di ieri. Dal 12 dicembre al 7 gennaio l’Istituto Ortopedico Rizzoli di Bologna sospenderà le operazioni chirurgiche programmate. Lo stop di tre settimane servirà per contenere i costi. L’allarme è stato lanciato dal direttore del dipartimento di Clinica ortopedica e traumatologia, Davide Donati, e dal direttore del dipartimento di Patologie complesse, Cesare Faldini. La decisione, avvertono, rischia di allungare ulteriormente i tempi d’attesa per gli oltre 27mila pazienti in lista, che già oggi attendono in media 18 mesi per un intervento.

 

Un quadro drammatico che si riflette anche in altri ospedali. A Viterbo, Alessandra Petronio, 36 anni, mamma di un bambino di 5, è deceduta domenica 28 settembre 2025 all’ospedale Santa Rosa per una grave emorragia al basso ventre. Era stata ricoverata d’urgenza e trasferita in terapia intensiva, dove ha trascorso la notte prima del decesso. La Procura ha aperto un’inchiesta e disposto l’autopsia per accertare eventuali responsabilità.

 

Un sistema sotto pressione

I casi del Rizzoli e di Alessandra Petronio si inseriscono in un quadro più ampio, quello di un Sistema Sanitario Nazionale (SSN) sempre più sotto pressione.

 

Secondo i dati della Fondazione GIMBE, presentati in vista della Legge di Bilancio 2026, l’Italia nel 2024 ha destinato alla sanità pubblica il 6,3% del PIL, contro una media OCSE del 7,1% e una media europea del 6,9%. La spesa per cittadino è ferma a 3.835 dollari, 854 dollari in meno rispetto alla media dei paesi europei.

 

Il divario non è sempre stato così ampio. Fino al 2011 il nostro Paese era allineato alla media europea. Poi i tagli, introdotti dai governi successivi, hanno progressivamente ampliato la forbice. Nel 2019 il gap aveva raggiunto i 430 dollari per abitante. Con la pandemia lo scarto è aumentato. Altri paesi hanno investito massicciamente nella sanità, noi molto meno. Nel 2024 il divario ha raggiunto 729 euro pro capite, pari a 43 miliardi di euro in meno sulla popolazione residente.

 

Tra i paesi del G7, l’Italia resta stabilmente all’ultimo posto per spesa sanitaria individuale. La Germania ha più che raddoppiato l’investimento italiano, arrivando a 8.080 dollari. Anche il Regno Unito, che, come l’Italia, adotta un “modello sanitario universalistico”, in cui la salute è considerata un diritto e non una merce, ha aumentato la spesa dopo la pandemia, superando Canada e Giappone.

 

Le conseguenze sui cittadini

I numeri si traducono in difficoltà concrete. Nel 2024, secondo i dati ISTAT analizzati da GIMBE, 5,8 milioni di persone hanno dovuto rinunciare a curarsi. Quasi una su dieci. Le motivazioni principali sono due: liste d’attesa troppo lunghe (6,8% della popolazione) e impossibilità economica (5,3%). La quota di chi rinuncia è cresciuta del 51% rispetto al 2023.

 

Una tendenza confermata anche da un sondaggio Ipsos per la Federazione Italiana Medici di Medicina Generale. L’80% degli italiani dichiara di aver rinunciato almeno una volta alle cure del SSN a causa dei tempi di attesa. Tra chi rinuncia, l’84% si rivolge al privato quando può permetterselo, mentre il 20% rinuncia del tutto. La percentuale sale al 28% tra le persone in difficoltà economica. Il risultato è un sistema a doppio binario in cui l’accesso alle cure dipende sempre più dal reddito.

 

L’Italia resta sotto la media europea, con un divario crescente rispetto a Germania, Francia e Regno Unito (ph: GIMBE)

La posizione in Europa

Nell’Unione Europea, 13 paesi investono più dell’Italia in sanità pubblica. Il distacco va dai 58 dollari della Spagna ai 4.245 della Germania. L’Italia precede solo alcuni paesi dell’Est e dell’Europa meridionale. Repubblica Ceca, Slovenia e Spagna destinano alla sanità più risorse a testa.

 

Anche tra i paesi OCSE, sono 13 quelli che riservano alla sanità una quota di PIL superiore a quella italiana. Il divario varia dai 4,3 punti percentuali della Germania (10,6% del PIL) agli 0,1 punti del Portogallo (6,4%).

 

Le implicazioni strutturali

Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione GIMBE, riassume così la situazione. “Il sottofinanziamento pubblico della sanità italiana è ormai una questione strutturale, che sta mettendo in grandi difficoltà tutte le Regioni, sempre più in affanno nel garantire i livelli essenziali di assistenza mantenendo in ordine i bilanci. Ma oggi il conto più salato di queste scelte lo pagano anzitutto i cittadini, costretti a confrontarsi ogni giorno con liste d’attesa fuori controllo, pronto soccorso al collasso, carenza di medici di famiglia, disuguaglianze territoriali e sociali sempre più marcate”.

 

Il problema non riguarda solo le prestazioni programmate. Anche l’emergenza-urgenza mostra segni di sofferenza. I pronto soccorso sono sempre più sovraccarichi, con tempi di attesa che si allungano e personale sotto pressione. Le strutture faticano a garantire una risposta tempestiva ed efficace. In molte Regioni si moltiplicano gli episodi di blocco o chiusura temporanea dei reparti.

 

Verso la manovra 2026

I dati della Fondazione GIMBE, elaborati su fonti OCSE aggiornate al 30 luglio 2025, arrivano mentre il Parlamento avvia la discussione sulla Legge di Bilancio 2026. L’obiettivo dichiarato è fornire elementi oggettivi al confronto politico, evitando strumentalizzazioni.

 

“È urgente pianificare – conclude Cartabellotta – un progressivo rilancio del finanziamento pubblico della sanità, non per risalire le classifiche internazionali, ma per restituire forza e dignità al SSN e garantire a tutte le persone, ovunque vivano e a prescindere dal loro reddito, l’inalienabile diritto alla tutela della salute sancito dalla Costituzione. Perché, se non investiamo sulla salute, pagheremo tutto con gli interessi in disuguaglianze, malattia, impoverimento e perdita di futuro”.

 

Nel frattempo, la Procura di Viterbo prosegue le indagini sulla morte di Alessandra Petronio. Ma la domanda di fondo resta. Quali sono le responsabilità di sistema che trasformano casi individuali in questioni collettive? Quanto pesa, nelle storie personali di chi muore o rinuncia a curarsi, il progressivo definanziamento di una sanità pubblica che dovrebbe garantire a tutti il diritto alla salute?

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