Occhiuto, Schlein e la Calabria delle illusioni

Politica

Di

Anatomia comparata del centro smarrito: il governatore che si dimette per ricandidarsi e la segretaria che resta per farsi dimettere: due facce speculari della crisi italiana, dove il potere è diventato un talk show e la sinistra rischia di perdersi per mancanza di un centro morale prima ancora che politico.

In Calabria, Roberto Occhiuto è tornato trionfante alle urne, dopo essersi dimesso da se stesso per dimostrare a se stesso che se stesso aveva ancora fiducia in se stesso. Una manovra così sofisticata da far impallidire Machiavelli, che almeno si limitava a scrivere. Nella sua narrazione, il popolo calabrese gli ha rinnovato un mandato non per quello che ha fatto, ma per quello che promette di fare dopo aver detto di volerlo rifare meglio.

Il presidente che ha fatto della ricandidatura una terapia d’urto contro la sfiducia amministrativa è oggi il simbolo di un’Italia che non sa più se applaudire o chiedere lo scontrino. Forza Italia lo guarda con curiosità, Tajani con sospetto, Salvini con la solita insofferenza verso chi non urla abbastanza. Occhiuto parla da moderato, ma modera solo le parole, non le ambizioni. È il perfetto prototipo del nuovo politico meridionale 2.0: europeista, televisivo, cattolico e con una costante vocazione alla leadership purché in assenza di veri concorrenti.

Ma per comprendere davvero la portata dell’“occhiutismo”, bisogna osservarlo attraverso il prisma di Elly Schlein — la quale, dal suo bunker romano, tenta di sopravvivere a un Pd che somiglia ormai più a una riunione condominiale con i contatori del gas invertiti. Se Occhiuto si dimette per rinascere, Schlein resta per sprofondare con coerenza ideologica.

Nel Nazareno i sacchi di sabbia sono pronti, ma non per fermare la piena: servono a reggere i nervi di un partito che si è convinto che “nessun nemico a sinistra” significhi “nessuna direzione in cui andare”. Intorno a lei si muovono figure di ex gloria e attuali rimpianti: Bonaccini che sorride a Renzi, Gori che scrive comunicati come SOS in bottiglia, Delrio che parla di alleanze “a favore di qualcosa”, concetto che ormai nel Pd appare quasi eretico.

Così come Occhiuto ha dovuto dimostrare di avere una legittimazione popolare, Schlein deve dimostrare di avere una legittimazione interna — ma con una differenza sostanziale: Occhiuto si è ricandidato, Schlein si è autoimputata. Entrambi affrontano il giudizio, ma nel suo caso il tribunale è il corridoio del Nazareno.

Eppure, vista dal suo riflesso calabrese, la parabola di Elly rivela un tratto tragico: mentre Occhiuto cavalca il localismo per arrivare al nazionale, lei insegue il movimentismo per scendere dal nazionale al nulla. Entrambi sono sintomi dello stesso male: un’Italia in cui la leadership è diventata un atto performativo, un selfie con la Costituzione in background.

Ora invertiamo le lenti. Guardiamo Occhiuto attraverso la crisi di Schlein. È come osservare un moderato allo specchio deformante del progressismo liquido. Si capisce allora che la sua ricandidatura non è un gesto di forza, ma di disperazione: nel vuoto lasciato dal Pd, anche un governatore indagato sembra un uomo delle istituzioni. Forza Italia, priva di eredi e di idee, si aggrappa a lui come a un salvagente color celeste. Ma dietro quel sorriso da Cosenza c’è la stessa fragilità di Elly: entrambi rappresentano un Paese che non sa più scegliere tra l’essere commissariato o contestatario.

La loro dialettica è perfetta: lui incarna la provincia che si crede capitale, lei la capitale che si crede movimento. In mezzo, un popolo che continua a votare come si fa la spesa: con rassegnazione, scegliendo ciò che scade più tardi.

Ecco allora la sintesi. Un’Italia che si avvita tra leader che si dimettono e leader che si aggrappano, in una danza simmetrica di impotenza e autocelebrazione. Se la sinistra non trova il coraggio di ricostruire un pensiero e non solo un campo, se non riscopre la concretezza di una politica che parli a chi lavora e non a chi twitta, il Paese rischia di scivolare in una catastrofe civile e morale.

Da qui a pochi mesi, tra l’autonomia differenziata di Occhiuto e l’autonomia ideologica di Schlein, potremmo scoprire che l’unica vera unità rimasta è quella del disastro nazionale. A meno che qualcuno, a sinistra, non trovi la forza di dire l’unica frase davvero rivoluzionaria rimasta: “basta chiacchiere, torniamo alla realtà.”

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.

Traduci
Facebook
Twitter
Instagram
YouTube