Bari, primi cenni di vita. Una vittoria diversa che può riaccendere la stagione

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© foto di SSC Bari

Alla vigilia della sfida del San Nicola contro il lanciatissimo Cesena di Mignani, il Bari di Caserta cercava risposte e riscatto. Reduce da prestazioni deludenti e con una classifica che comincia a fare paura, la squadra biancorossa si aggrappava al lavoro settimanale e alla personalità dei suoi uomini più esperti per affrontare un avversario in fiducia e dalla chiara identità di gioco. Caserta riconosce le difficoltà del momento ma resta convinto del percorso intrapreso: serviranno coraggio, concentrazione e qualità individuali per trasformare un crocevia complicato in un nuovo punto di partenza.

3-4-2-1 il modulo di oggi. Questa la formazione: Cerofolini, Pucino, Meroni, Nikolaou, Dickmann, Maggiore, Darboe, Dorval, Castrovilli, Antonucci, Moncini. Dunque Verreth parte dalla panchina.

Il primo tempo racconta una partita a senso unico nel gioco e nel coraggio: il Cesena prova a comandare, il Bari aspetta, rinuncia a costruire e finisce per subire. Nessuna emozione biancorossa, nessuna traccia di idee. Darboe, schierato fuori ruolo, fatica a impostare e quando prova a rendersi pericoloso si infortuna, lasciando spazio a Verreth e un centrocampo privo di incontristi, costretto a ritrovarsi e a stringere le linee.

Il Cesena affonda con facilità, supera un centrocampo leggero e manda Shpendi due volte vicino al gol: prima Meroni salva tutto immolandosi, poi Cerofolini, ancora una volta il migliore dei suoi dall’inizio del campionato, tiene in piedi la squadra con un riflesso che evita lo svantaggio. Ma Shpendi fa quel che vuole, sbaglia solo per imprecisione e non per merito avversario.

Il Bari resta lento, compassato, incapace di difendere o ripartire, e soprattutto di dare un senso alle proprie giocate. Maggiore non incide, le mezzali non accompagnano, Antonucci vaga senza ruolo, la squadra sembra fragile e smarrita, priva di identità e di intraprendenza. Nessun tiro, nessun cross, nessuna azione: solo paura, improvvisazione e la sensazione netta di inaffidabilità. Insomma, il solito Bari. Il pubblico, già scarno, fischia alla fine di quarantacinque minuti in cui il Bari non è mai realmente sceso in campo.

Il secondo tempo si apre con un lampo improvviso del Bari: Antonucci si ritaglia lo spazio sul fondo e costringe Klissman a deviare in angolo, ma è un fuoco di paglia. Castrovilli, oggi indeciso e sottotono rispetto alle scorse uscite, dà la sensazione di essere risucchiato nel caos tecnico-tattico generale. Il Cesena continua a spingere e va vicino al gol con Francesconi, salvato da una deviazione di Nikolaou che favorisce l’intervento di Cerofolini. Dorval prova a scuotere i suoi con qualche conclusione, ma ogni tentativo si infrange sui difensori avversari.

Il Bari resta timido in avanti, privo del contributo offensivo di Maggiore e Antonucci, praticamente assenti. Caserta allora corre ai ripari: fuori proprio Maggiore e Antonucci, dentro Braounoder e Gytkjær nella speranza di dare peso e ritmo all’attacco. Ma è ancora il Cesena a sfiorare il gol con un tiro-cross di Adamo che lambisce il palo mentre la difesa biancorossa osserva attonita la traiettoria del pallone. Mignani risponde inserendo Diao e Bastoni per Castagnetti e Shpendi, togliendo dal campo il principale spauracchio offensivo della gara.

Dikmann continua a faticare sulla fascia, il Bari si appiattisce e, paradossalmente, dopo i cambi Castrovilli sparisce del tutto: forse stanco, forse disorientato dalla nuova disposizione, non riesce più a incidere. Il Cesena, invece, mantiene ordine, ritmo e identità. Caserta tenta l’ultima carta: fuori Castrovilli e Moncini, dentro Partipilo e Cerri.

E proprio quando la partita sembra destinata allo 0-0, arriva l’imponderabile: Dikmann, confuso per tutta la gara ma dotato del cross naturale sul piede, trova la giocata giusta. Palla perfetta per Gytkjær che svetta e insacca. Bari avanti, contro ogni logica. Gli ultimi minuti sono un assedio romagnolo: Meroni, Pucino e compagni resistono, Cerofolini blocca a terra un colpo di testa di Diao e mantiene intatto il vantaggio.

Al 94’ arriva il triplice fischio: il Bari vince. È la seconda vittoria consecutiva e, tra limiti e incertezze, arriva un altro clean sheet. Forse non è ancora una rinascita, ma potrebbe essere la scintilla per trasformare paura e confusione in un nuovo inizio.

Il Bari oggi, pur nella sofferenza, ha mostrato qualcosa che nelle ultime uscite era sembrato svanito: un accenno di squadra. Dopo un primo tempo da incubo – ritmo basso, Moncini isolato, mezzali assenti, centrocampo lento e poco propositivo – i fischi erano inevitabili. Cerofolini, ancora una volta monumentale, ha tenuto a galla un gruppo che sembrava un passo dal baratro.

Poi, nella seconda metà della ripresa quando si era già preparati al peggio, è cambiato il volto della gara. Caserta ha osato inserendo il secondo attaccante e ha avuto ragione: la squadra si è alzata, ha mostrato carattere, ha vinto seconde palle e ha colpito nel momento giusto col cross di Dikmann e la zampata di Gytkjær. È stata una vittoria pragmatica, costruita più sulla concretezza che sul gioco, e contro una seconda in classifica con quattro successi esterni consecutivi: un segnale, forse piccolo, ma prezioso.

Restano problemi evidenti: il centrocampo fatica a essere all’altezza, Verreth è lontano dalla forma migliore, Maggiore e Antonucci faticano a incidere, Darboe non dà ancora certezze. Caserta privilegia la solidità e fa bene: oggi il Bari non è squadra da duelli aperti, e non prendere gol da due gare è un patrimonio da proteggere. I continui cambi sono sintomo di incertezza tattica, ma stanno fruttando punti e, in Serie B, le partite si vincono anche così.

È un successo che pesa più degli altri, forse il meno immeritato del campionato, e che restituisce un filo d’aria a una squadra ancora incapace di respirare autonomamente. Come scriveva Montale, “codesto solo oggi possiamo dirti: ciò che non siamo, ciò che non vogliamo” e il Bari del primo tempo rappresenta proprio ciò che non vuole più essere. La speranza che torna è fragile ma reale: finché l’alba non ci sorprende, si può continuare a lavorare, respirare e costruire. Perché, in fondo, come cantava Battiato, “ed è in certi sguardi che si intravede l’infinito”.

Nessuno si illuda: il paziente resta grave, intubato, ma oggi ha iniziato la terapia dell’ossigeno. E se cura, sudore e umiltà faranno effetto, questa vittoria potrà davvero diventare l’inizio di una lenta guarigione.

Massimo Longo

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