Addio a Fitoussi, il critico dell’austerità che amava l’Italia

Economia & Finanza

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L’economista francese avrebbe compiuto 80 anni il prossimo agosto. Le sue teorie contro i dogmatismi dell’economia, attento alle ricadute sociali delle politiche di bilancio, pronto a criticare le eccessive rigidità che hanno caratterizzato le crisi che si sono succedute dal crac della Lehman Brothers.

© LIONEL BONAVENTURE / AFP – Jean Paul Fitoussi

AGI – È morto questa notte a Parigi l’economista Jean-Paul Fitoussi. Professore emerito di SciencesPo, insegnava anche alla Luiss di Roma. Fitoussi avrebbe compiuto 80 anni il prossimo 19 agosto.

Un economista che credeva nell’Europa, amico dell’Italia e con una lunga frequentazione nel nostro paese; studioso contrario ai dogmatismi dell’economia, attento alle ricadute sociali delle politiche di bilancio, pronto a criticare l’austerità e le eccessive rigidità che hanno caratterizzato le crisi che si sono succedute dal crac della Lehman Brothers.

Questo era Jean-Paul Fitoussi, scomparso oggi a 79 anni. Era nato in Tunisia a La Goulette, centro costiero a pochi chilometri da Tunisi, il 19 agosto 1942. Numerosi i suoi incarichi in università e istituti di ricerca internazionali. È stato docente all’istituto di studi politici di Parigi (Sciences Po) dal 1982 e dal 1989 ha presieduto l’osservatorio francese sulle congiunture economiche (Ofce).

morto economista fitoussi 
© JEAN-PIERRE MULLER / AFP

Jean Paul Fitoussi

Dal 1990 al 1993 ha contribuito alla creazione e allo sviluppo della Bers. È stato membro del consiglio scientifico dell’Istituto “Francois Mitterrand”. È stato presidente del consiglio scientifico dell’Iep-Institut d’e’tudes politiques di Parigi dal 1997 e membro del Consiglio di analisi economica del Primo ministro francese.

Numerosi i legami con l’Italia, dove è stato docente di International Economics e di Introduction to the Economics of European Integration presso la Luiss di Roma. Ha inoltre fatto parte del consiglio di amministrazione di Telecom Italia e del consiglio di sorveglianza di Banca Intesa Sanpaolo.

I suoi lavori riguardano tra l’altro le teorie dell’inflazione, la disoccupazione, le economie aperte e il ruolo delle politiche macroeconomiche. È stato un critico della rigidità nelle politiche di bilancio e di economia monetaria, per gli effetti negativi sulla crescita dell’economia e sui livelli di occupazione.

Tra i suoi libri più noti ‘Il teorema del lampione’, dove esaminava quanto successo nel 2007-2008, quando erano entrate in crisi la teoria economica, le banche, la finanza mondiale, il debito sovrano. Causa di questa situazione, sosteneva Fitoussi, era anche l’irragionevolezza di voler affrontare l’avvenire cercando soluzioni solo sotto il ‘cono di luce’ che ci giunge dal passato, come l’ubriaco che cerca le chiavi non dove le ha perdute ma dove c’è la luce del lampione.

Le teorie economiche sono falsificate dai fatti, questa l’idea, e le nostre politiche non riescono più a rendere conto della realtà né a rispondere ai bisogni della popolazione.

Fitoussi, insieme ai premi Nobel Joseph Stiglitz e Amartya Sen, aveva anche redatto un documento sul Pil, definito ‘la misura sbagliata delle nostre vite’, giudicato non più affidabile come indicatore economico.

“Il Pil – affermava in un’intervista – sarebbe una misura economica utile se riuscisse almeno a rendere l’idea della distribuzione della ricchezza di una nazione. Però il Pil può avere segno positivo anche quando l’80% della ricchezza va all’1% della popolazione: ma quella non è una nazione ricca, perché un’economia può essere definita in espansione solo quando l’aumento del benessere è distribuito tra la maggioranza della popolazione. È una delle tante misurazioni imperfette della contabilità nazionale che non sono tarate sull’appartenenza a una determinata categoria di reddito. Potrei citare allo stesso modo l’inflazione, che è maggiore per chi ha un reddito basso, perché gran parte di esso è assorbito dall’acquisto di beni alimentari, di benzina e negli affitti. Tutte spese vincolanti e caratterizzate da alta inflazione. Per chi è ricco, invece, queste spese rappresentano una porzione irrilevante del reddito”.

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