Arfaras: “Il rapporto Onu sul clima non valuta gli effetti sull’industria”

Economia & Finanza

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Transizione energetica. L’economista del Centro Einaudi all’AGI: “L’Europa rischia di indebolirsi mentre Cina e India proseguono sulla strada di uno sviluppo meno attento all’ambiente” 

© HANDOUT / NASA EARTH OBSERVATORY / AFP
– Nella foto, fumo verso Polo Nord: da est a ovest la nuvola ha una lunghezza di 3.200 chilometri

 

 

AGI – Il rapporto sul clima dell’Onu non considera il rischio di un indebolimento dell’industria europea mentre gli altri paesi, Cina e India su tutti, proseguono sulla strada di uno sviluppo industriale meno attento alle tematiche ambientali. Lo spiega all’AGI Giorgio Arfaras, economista e direttore della Lettera Economica del Centro Einaudi.

“Le obiezioni al rapporto sono due – evidenzia Arfaras – e concernono non solo la climatologia ma gli strascichi delle politiche che verrano intraprese per evitare che accada quello che il rapporto adombra. La prima obiezione riguarda il problema del ‘free riding’. In Europa possiamo fare quello che l’Ipcc (Intergovernmental Panel on Climate Change) chiede, negli Stati Uniti già un po’ meno. Ma non si capisce per quale motivo paesi appena avviati all’industrializzazione come Cina e India, che da soli hanno una popolazione di circa 3 miliardi di persone, dovrebbero frenare la propria crescita facendo degli investimenti ecologici e costosissimi”.

“Questo è il problema del free ridig: quelli che non riesci a costringere a seguire il percorso che si sta facendo. Si tratta di una questione molto seria. Hai voglia a parlare di ecologia. I cinesi prima o poi faranno qualcosa perché da loro non si respira più, ma nel frattempo aprono nuove centrali a carbone. Quindi mi sembra difficile che queste nazioni dall’oggi al domani si mettano sulla strada dei ‘Grunen’ (i verdi tedeschi, ndr)”, afferma l’economista.

“Tali paesi – osserva Arfaras – per fare quello che gli viene chiesto dovranno avere degli incentivi. Ma per non farlo avranno due argomentazioni. La prima è quella negazionista, quella che dice che non è vero. La seconda risposta che daranno è: perché quando era il vostro turno non vi siete fatti scrupoli a inquinare”.

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C’è poi la seconda obiezione che riguarda i risvolti industriali del rapporto Onu. L’Ipcc chiede “che si intraprendano determinate azioni ma non valutano le implicazioni delle richieste né gli effetti che possono suscitare le trasformazioni. Le auto elettriche sono migliori di quelle a combustione tradizionale, si dice. A parte che è tutto da dimostrare che quelle diesel di nuova generazione siano così inquinanti. Ma questo e’ l’aspetto minore. Si chiede di ristrutturare un intero settore, quello dell’automotive, dove in Europa c’è il maggior numero di occupati”, sottolinea l’economista. “Ci si può immaginare una specie di neo-luddismo per cui la difesa delle tecnologie esistenti porti chi lavora a opporsi alla trasformazione tecnologica verde. Se io fossi un operaio della Volkswagen non sarei cosi’ felice di essere mandato a casa perché le nuove auto elettriche inquinano meno”, dice ancora Arfaras.

Riguardo alla questione Casa Bianca-Opec, per l’economista la mossa di Biden “non contraddice la politica verde” portata avanti finora. Tutto deriva dal fatto, conclude, che “negli Stati Uniti, a differenza dell’Italia, non ci sono le accise. Per cui alla pompa l’automobilista vede immediatamente l’effetto del rialzo del prezzo del petrolio. Il motivo è questo, gli americani hanno una trasmissione immediata del prezzo del petrolio alla pompa e quindi Biden ritiene che” un rialzo eccessivo della benzina “sia controproducente per la sua credibilità politica”.  

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