Arrivano i conti

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Alla fine i conti arrivano sempre. Anche quello della crisi italiana, caricato dalla tragedia mondiale della pandemia, bussa con più forza alle porte della nostra democrazia. Tra le tante, talvolta avventate riflessioni che si fanno su come il mondo uscirà cambiato da tale situazione, non ne registriamo nessuna, sulla salute della Repubblica. Crediamo sarebbe necessario farlo. 

di Paolo Bagnoli

Il Paese è in emergenza. Dovere primo è controbattere per sconfiggere la mortale infezione; tuttavia, il quadro politico non appare all’altezza del compito nonostante tutti gli sforzi che vengono fatti e, talora, solo rappresentati. Il quadro politico della democrazia repubblicana non è solido; ciò che viene contrabbandato per dibattito è per lo più battibecco; ogni parte insegue il suo piccolo disegno anche se celato dietro espressioni che vogliono farlo apparire grande. Non è un bello spettacolo. Le difficoltà sono oggettive e non tenerne conto è irresponsabile. Il problema che poniamo esiste; quando saremo fuori dall’assedio del Covid esso risulterà ancora più evidente. Non è una questione che si risolve coi soldi dell’Europa rispetto alla cui progettazione d’uso, tra l’altro, l’Italia è in grave ritardo di idee prospettiche, con tutti i rischi che ipotesi sballate e superficialmente “all’italiana” ne possano addirittura compromettere l’utilizzo.

    I conti arrivano. Essi sono l’insieme di quanto è stato trascurato dalla fine della Prima Repubblica a oggi; vale a dire la mancanza di una valutazione seria sull’accaduto; ossia, di fare i conti con noi stessi nell’ottica e nell’intenzione di porvi rimedio per salvaguardare i valori e lo spirito repubblicano; per ridare linfa al sistema democratico; per capire e avere coscienza, fino in fondo, di quanto è successo e di quanto, poi, non lo è stato; per tentare di recuperare un vuoto e attivare un’operazione necessaria per la salvaguardia delle istituzioni; dare loro la forza che dovrebbe competerle nonché dignità e prospettiva alla lotta politica democratica.

    Nel quarto di secolo alle nostre spalle il Paese ha sopportato, legittimato, talvolta accudito, l’antipolitica, un vento furioso che ha attraversato l’Italia incuneandosi in ogni ambito e in ogni spiraglio della vita pubblica. L’antipolitica è stata definita da Rino Formica come “un veleno a lento rilascio”. Esso, prendendo campo, ha generato quel populismo antistituzionale che, a poco a poco, ha corso senza esitare nelle vene istituzionali e sociali del Paese. Le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti: in primo luogo lo sprezzo per la rappresentanza elettiva oramai tenuta in nessun conto vero; una visione del sistema fondato sui partiti come una forma che non può non essere che corrotta; le istituzioni della Repubblica ritenute alla stregua di avanzi archeologici di un’epoca solo da dimenticare; la realtà nazionale che può essere pensata prescindendo da ogni ordine, anzi rigettandolo, perché non necessitante di un equilibrio; insofferenza per lo stato di diritto e, quindi, della legge e della sua fonte. Ecco qual è il conto che viene presentato oggi agli italiani; una consapevolezza che sembra, peraltro, riguardare solo una parte minima del Paese.

    Il sistema è bloccato. Basti guardare a ciò cui si è assistito nel gestire la pandemia e l’emergenza, allo scollamento tra le varie realtà istituzionali e si avverte un qualcosa di più delle faglie che solcano il sistema; si avverte lo sfarinamento istituzionale progressivo dovuto al vuoto sostanziale di politica insediatosi alle radici del sistema. Deficita la dialettica politica; deficita ogni sforzo di cultura politica e la consapevolezza che, se non si ricompongono le idee della cultura su cui fondare la politica, nemmeno questa potrà ricostituirsi nella sua vera accezione; vale a dire, del governo dello Stato e della società. Ci sembra che nessuno più sappia che il termine politica viene dal greco polis che significa sia “stato” che “società”; per cui, la politica, è quella disciplina che riguarda tutto quanto concerne l’uno e l’altra.

    Ecco l’unica moneta da iniziare a mettere in campo per saldare i conti; nessuno, però, sembra farsene carico. Se così continuerà a essere, tuttavia, essi saranno sempre più pesanti e, di converso, la democrazia sempre più debole. Alle sue estreme conseguenze il populismo può degenerare in avventurismo. Segnali significativi ne abbiamo già avuti. Il vaccino per tutto ciò è un ritorno alla politica vera, a un’opera di ricostruzione che, in ogni modo, si presenta lunga, difficile e piena di incertezze. In politica, però, le difficoltà devono essere affrontate sempre che si sappia e si voglia dare senso alle cose. 

Da La Rivoluzione Democratica

https://www.rivoluzionedemocratica.it/

 

 

 

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