Avanza l’egemonia deculturale della sinistra

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Avanza l’egemonia deculturale della sinistra

di Evelyn Zappimbulso 

O noi o la Meloni, ripete Letta in versione tigrata. Un tempo la contrapposizione politica tra i due poli aveva una linea di confine: quelli di sinistra avevano un pensiero politico alle spalle, un’ideologia su cui fondavano l’egemonia culturale, nutrita da intellettuali; gli altri, invece, dai democristiani alle destre, dai berlusconiani ai leghisti, dai moderati ai conservatori, erano i pragmatici, che puntavano diritti sulla realtà, sui fatti, sulla pancia, sulle condizioni reali di vita. Il pensiero politico ha attecchito sempre poco alla politica di centro, di destra o di anti-sinistra. Il pregio e il limite della sinistra era l’approccio politico mediato dalla cultura, dagli intellettuali, dai temi ideologici.

Oggi, il retropensiero della sinistra non è un pensiero, non c’è una cultura politica alle spalle, gli intellettuali non contano nulla, spesso le menti migliori sono in dissenso sui temi cavalcati dai dem, dalle misure restrittive sulla pandemia all’interventismo militare filo-Nato, dall’insistenza ossessiva sui cavalli di battaglia del politically correct alla perdita di ogni visione sociale.

Spariti i grandi temi che facevano della sinistra la forza politica più vicina ai ceti proletari e operai, perdute le visioni politiche e sociali che caratterizzavano la lotta politica, cancellata ogni residua critica al sistema capitalistico e al modello occidentale, cosa è rimasto oggi nella sinistra, qual è la sua spina dorsale, il suo asse culturale, il perimetro dei suoi valori non negoziabili?

La difesa a oltranza dell’Unione Europea, il filo-atlantismo e la subalternità assoluta alla Nato e ai Dem americani, la difesa delle oligarchie e degli assetti di potere vigenti, la subalternità della politica alla tecnofinanza. Tutto questo ha un nome che è una password: la dragocrazia. Vista l’impossibilità di prevalere con una candidatura politica di sinistra, si rifugiano dietro il volto “neutrale” del Commissario straordinario, nel nome dell’Emergenza e del grido di guerra “Ce lo chiede l’Europa”. E’ quello che alcuni a sinistra denunciano come la riduzione del messaggio politico democratico e progressista al Verbo di Calenda e alle sue priorità draghiane.

Sul piano sociale e civile, la priorità effettiva della sinistra è il catechismo del politically correct, a partire dai temi legati ai sessi. Proprio ieri con grande, accorato dolore, la sinistra parlamentare con la sua stampa piangeva come se fosse una sciagura storica la mancata approvazione di una norma “inclusiva” sulla parità di genere, bocciata dal Senato grazie al prevalere del centro-destra. Era un provvedimento lanciato da una senatrice grillina e sostenuto da tutta la sinistra. La battaglia campale era, per spiegarci, su “il presidente” o “la presidente”, o sul “sindaco” e la “sindaca”. Che oltre ad essere una questione del tutto priva di sostanza e d’incidenza nella vita reale delle persone, ha solo una ricaduta ideologica e feticistica funzionale ai movimenti femministi e lgbtq+.

Infine, il terzo elemento ideologico su cui si fonda la sinistra odierna è la ripresa virulenta dell’antifascismo, ma di un antifascismo esagitato e puerile, di cui portavoce sono i quotidiani padronali de la Repubblica e del suo fratello minore torinese, e il loro vecchio cugino milanese, il Corriere. Con la benedizione di Mattarella. Ma a differenza del passato, quando c’era pur nella visione ideologica manichea e militante dell’antifascismo, uno sforzo di storicizzazione con argomentazioni derivate dalla ricerca storica, l’attuale antifascismo è solo viscerale, “di pancia”, allergico, basato sull’insulto, l’anatema e la demonizzazione. Il fascismo è ridotto a romanzo criminale e Mussolini a delinquente. Passi indietro non solo rispetto alla ricerca storica seria, quella alla De Felice per intenderci; ma anche rispetto alla storiografia antifascista più schierata, che almeno articolava un discorso storico e non ne faceva una questione di cronaca nera o di pura criminalità. E questa caricatura criminale del fascismo viene estesa senza una minima riflessione e mediazione culturale al centro-destra attuale, in totale continuità.

Dunque riduzione della politica a periferia delle oligarchie, draghizzazione della sinistra, riduzione del messaggio sociale alle idiozie del politicamente, sessualmente e lessicalmente corretto; più l’antifascismo al ketch-up, ignorante e sanguinolento. Qual è alla fine il risultato di questa nuova linea? L’avvento dell’egemonia deculturale della sinistra. Non più egemonia fondata sulla cultura organica e militante, però almeno erudita e pensante; ma egemonia fondata sulla deculturazione di massa, in cui la politica, la cultura, il dibattito delle idee, i percorsi di pensiero, vengono imbarbariti e ridotti a mere caricature. E’ nata l’egemonia sub-culturale della sinistra.

Negli anni scorsi la sinistra ha perso la sua anima popolare e proletaria, la sua critica al capitalismo, riducendosi a un radicalismo da ztl, snob e presuntuoso; ora si completa il processo e la sinistra diventa un centro di potere culturale privo di cultura, di pensiero politico, di elaborazione delle idee. Resta il potere sulla cultura al posto del potere della cultura. Gli ideologi sono gli influencer o i conduttori televisivi. Sparisce non solo Gramsci, ridotto a una caricatura liberale, una specie di personaggio da fumetto; ma perfino Eco viene sostituito da Veltroni, Asor Rosa e Cacciari da Fedez e Ferragni.

Insomma l’antico gap culturale tra destra e sinistra è stato finalmente abbattuto, ma la parificazione è avvenuta al ribasso: nel senso che anche la sinistra non ha più un orizzonte culturale, uno straccio di pensiero politico. Sicché alla destra resta una maggiore aderenza alla realtà, o almeno al gergo della realtà; alla sinistra manco quello. La sua egemonia mafiosa sulla cultura vige ancora ma sul piano dei contenuti è ridotta a un asterisco … Bella ciao.

Evelyn Zappimbulso Vice Direttore Corrierepl.it

Redazione Corriere di Puglia e Lucania

Corriere Nazionale

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