Azzardopatia, un furto di felicità. Intervista a Giovanni Endrizzi

Arte, Cultura & Società

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A cura di Mariangela Cutrone

Non è mai troppo tardi per rimboccarsi le maniche e realizzare i propri sogni riscrivendo la propria storia di vita. È questo il messaggio pedagogico che emerge dalla lettura di “AvVinti e Vincitori- Storia di Nik” di Giovanni Endrizzi edito da IOD. Questo libro narra la storia di un ragazzo che potrebbe essere benissimo uno noi. Nik è un giovane intento a costruire il proprio sé e il proprio percorso esistenziale. Nel perseguire questo obiettivo si scontrerà con sogni infranti, delusioni, ideali, errori e redenzioni. Nik è un ragazzo ribelle e sognatore che però ha poca fiducia in sé stesso. A causa di ciò farà fatica ad abbracciare la sensazione di essere pienamente soddisfatto di ciò che è e fa. Nella vincita al gioco d’azzardo si illuderà di abbracciare un’oasi di benessere nella quale mettere a tacere le proprie inquietudini e insicurezze. Ma come insegna Giovanni Endrizzi in questo romanzo di formazione, l’azzardo ben presto si rivelerà “un furto di felicità”.

Grazie a questa storia l’autore ci induce a riflettere sulla differenza tra due concetti che facilmente si confondono, quello di “vittoria” da una parte e quello di “vincita” dall’altra. Giovanni Endrizzi affronta la tematica dell’azzardo patia attraverso una storia singolare che è vita allo stato puro. Emerge dalla sua narrazione la sua sensibilità e professionalità come educatore nei confronti delle dipendenze che riguardano il mondo giovanile odierno.

La sua scrittura è ammaliante e coinvolge il lettore che non può fare a meno di entrare in empatia con la storia che viene narrata. Molti sono gli insegnamenti che si colgono da questo romanzo la cui lettura è rivolta non solo ai giovani ma anche ai loro educatori, compresi i genitori che hanno bisogno di comprendere l’universo dei propri figli incoraggiandoli nella realizzazione dei propri sogni perché come questo libro ci insegna non è mai troppo tardi per riscrivere la propria storia e concretizzare i propri progetti di vita.

Del legame tra dipendenze e mondo giovanile odierno, di sogni, ribellione e libertà conversiamo piacevolmente con l’autore in questa intervista.

Quando e come è nata l’idea di scrivere sotto forma di romanzo la “storia di Nik”?

Ho sempre ritenuto che non abbia molto senso pensare di impartire ai giovani le istruzioni per la loro vita. Preferisco confrontarmi sul senso della felicità nelle nostre vite e sui modi che abbiamo per conquistarla.

In una vera storia è possibile rappresentare le emozioni, le aspirazioni, i bisogni interiori, così come le difficoltà o le sofferenze. Capire in cosa possa consistere un errore o una scelta “vincente”. Io stesso quando leggo un racconto, riesco a vivere dal di dentro il senso delle cose, soppeso il valore che potrebbero avere nella mia vita, penso a come mi sarei comportato io, perché la lettura è libera, intima e senza costrizioni.

Leggendo il suo romanzo ci si ritrova a riflettere sul concetto di vittoria in contrapposizione con quello di vincita. Per lei cosa significa vincere nella vita?

In una vincita al gioco d’azzardo ci si impadronisce di qualcosa di materiale, la si lega a sé. Nella mia vita ho scoperto che vincere significa sciogliere, liberarsi, consentirci di esprimere qualità interiori.  Nel primo caso si portano “dentro” beni materiali, nel secondo si portano fuori qualità interiori.  Le vincite (se e quando arrivano) aumentano ciò che abbiamo, le vittorie valorizzano ciò che siamo.

Quanto e in che misura i sogni ci aiutano a diventare persone “vincenti”?

Il sogno ci proietta con la fantasia nel futuro. La fantasia ha un’importante funzione evolutiva. Così come uno scienziato ipotizza una nuova teoria o un architetto concepisce un palazzo, un giovane ha bisogno di esplorare con la fantasia ciò che potrà e vorrà realizzare. Dobbiamo avere estrema cura dei sogni, dei nostri come di quelli delle persone che ci stanno vicine. “Perché – dice Patella – se nessuno te lo dice che c’è una vita diversa,… se nessuno vede le tue potenzialità e ti autorizza ad essere ciò che senti e sei, crederai che la tua gabbia sia l’unico mondo, l’unico “modo” possibile per te”.

Come l’esperienza di Nik ci insegna, le “etichette” che ci vengono affibbiate sin da piccoli ci influenzano spesso nella scelta del proprio destino. Come liberarsi di esse?

È importante che i bambini siano ascoltati, “visti” nella loro unicità. La cosa più importante è che si sentano riconosciuti e autorizzati a essere ciò che sono. Quando ciò non accade, da grandi avranno difficoltà a riconoscere le proprie aspirazioni e potranno trovarsi a vivere una vita che non sentono loro.

Liberarsi, da grandi, può essere difficile, doloroso, lento. E passa per un paziente recupero della capacità di ascoltarsi e di fare piccole scelte per esprimere la propria personalità

Nel suo romanzo lei scrive “nella vita la libertà è riuscire a vedere dentro noi stessi, e tirare fuori quel che siamo, e costruire con le nostre mani uno spazio per il tesoro che abbiamo recuperato in fondo all’anima”. Qual è il suo significato di libertà?

La libertà non consiste nella potenza, ma nella possibilità. Non è la garanzia di arrivare dove vogliamo, ma uno spazio per poter definire le nostre mète, per poter partire; è il privilegio di poterci “mettere in gioco”, di “giocare le nostre carte”, di “puntare” su noi stessi. Esattamente il contrario che abbandonarsi alla sorte.

Con i ragazzi cerco sempre di distinguere il “rischio” dall’azzardo; è rischioso dire “ti amo”, è rischioso affrontare un’impresa o un progetto, ma ci siamo noi al timone; nell’azzardo al timone c’è il caso.

Essendo un educatore professionale e occupandosi da anni di progetti miranti alla prevenzione dell’azzardopatia, com’è oggi la situazione del mondo giovanile italiano?

I ragazzi hanno fame di occasioni; sete di spazi in cui mettersi alla prova. Queste occasioni mancano. Siamo invece invasi da prodotti, divertimenti, passatempi preconfezionati e proposti come soluzioni immediate e senza fatica ad ogni bisogno, reale o artificialmente indotto.

Nelle scuole medie, ai ragazzi facevo notare le tante pubblicità che sottilmente ti dicono: “tu sei un imbranato, hai un fisico inadeguato, sei opaco, ma con questa nostra pozione magica potrai spiccare il volo”. Fare sentire un ragazzo inadeguato è facile ed è il peggior furto che possiamo fargli. E parlare dei giovani come di una generazione persa, non solo è deleterio, ma anche infondato. Espressioni disfattiste sui “giovani d’oggi” ci sono giunte fin dai tempi di Babilonia, parliamo di 5000 anni fa. Io invece credo che quando i ragazzi vengono ascoltati, riconosciuti, incoraggiati (anche incalzati, nel modo giusto), rispondano sempre positivamente.

Che ruolo dovrebbero svolgere le famiglie quando vivono situazioni di questo tipo?

Mi rivolgo a loro direttamente: assegnate ai vostri figli dei compiti; aiutateli a capire le cose che realizzano bene, sottolineate i loro successi e le qualità che hanno espresso, prima e più che sottolineare le imperfezioni o gli errori; se commettono errori importanti, non dite mai  “togliti che non sei capace”, accompagnateli a capire le cause in modo costruttivo: come si può rimediare?  Quando a un ragazzo è permesso rimediare a un proprio errore, è come se prendesse lo slancio da un trampolino.

E la scuola?

La scuola italiana ha ottime basi culturali e teoriche, ma dobbiamo evitare l’errore di enfatizzare la prestazione e la precocità della preparazione cognitiva, linguistica, logico-matematica. Tutto corretto, ma c’è un traguardo evolutivo ancora più importante da realizzare in questa età: la costruzione del Sé.

E poi, un bambino ascoltato, più facilmente ascolterà. Qui s’innesta il piacere di apprendere; potremmo leggere la famosa massima di Cartesio “Cogito ergo sum” in senso inverso: “sono, sento di essere, dunque penso”.

Un messaggio che darebbe ad un giovane che sente il bisogno di riscrivere la propria storia di vita così come è successo al protagonista del suo romanzo…

“Io ti vedo, so cosa stai provando, e quali difficoltà ti trovi davanti; so quel che puoi fare e ancora non sai. Scoprilo. Se vuoi, io ci sono”

A chi consiglia la lettura del suo romanzo?

Nello scrivere ho pensato a chi sta vivendo un lutto o una sconfitta; a chi affronta una fase di cambiamento; ai giovani e giovanissimi e a chi sta a contatto con loro: baristi, allenatori, insegnanti, genitori, zii, nonni… e, perché no, anche ai sindaci.

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