Benedetti Michelangeli, l’incantatore di serpenti

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Parla chi lo ha conosciuto. Secondo alcuni il grande pianista era un sadico, secondo altri era un candido fino all‘ingenuità assoluta. Al suo amministratore diceva «Spogliami di tutto». E fu un monogamo, ma poliamoroso

di Bruno Giurato

«Sembra che abbia lasciato in giro solo vedove. Vedove maschi e vedove femmine. Non è mai definito in modo laico da chi lo ha conosciuto, ma sempre con lacrime e sospiri» racconta Pier Carlo Orizio, direttore artistico del Festival Pianistico di Brescia e Bergamo. Pier Carlo è figlio di Agostino, direttore d’orchestra, fondatore del Fetival e anima musicale della città, e ha solo intravisto da bambino Benedetti Michelangeli; si ricorda la sua Lamborghini Miura parcheggiata nelle vie accanto al teatro Grande. Pare che una volta i vigili urbani l’avessero multato, provocando ira e annullamento del concerto. Qualcuno andò a pagare la multa di nascosto per poi dire al maestro che i vigili, saputo che si trattava di lui, avevano annullato la sanzione. Concerto ripristinato.

C’è sempre qualcosa di infinitamente nostalgico, una vedovanza che sembra accarezzare la sensucht nel modo in cui ABM viene raccontato da chi lo aveva conosciuto. Anche quando si tratta dei capricci di una stella che sa di essere una stella. Anche quando ci si mette di mezzo il sospetto che la stella sia una stella fredda. Michelangeli, racconta Cord Garben, suo produttore alla Deutsches Grammophon, se irritato da era in grado di mostrare un volto spaventosamente ostile. Garben fu di fatto “licenziato” da Michelangeli perché durante un concerto fu ritenuto responsabile di aver sbagliato il puntamento dei riflettori, abbagliandolo; e l’amministratore, ma soprattutto amico, Paolo Mettel racconta che una volta si presentò a casa del pianista, a Pura, con 10 minuti di ritardo sulla perfetta cottura degli spaghetti. Mettel si trovò solo al tavolo da pranzo, a mangiare gli spaghetti “sciupati”, mentre il Maestro era sceso di sotto a suonare. Dopo una mezz’ora di castigo, Michelangeli tornò su e si sedette a fianco di Mettel, mangiucchiando uno spicchio di grana. Mettel graziato.

Dopo l’infarto che lo prese a Bordeaux nel 1988, durante un concerto per i bambini vittime di inondazione a Nimes, tornava regolarmente in città per i controlli. I medici lì l’avevano salvato, il 17 ottobre, e da allora quella data sarà festeggiata da lui come un nuovo compleanno, lasciando da parte il giorno di nascita, il 5 gennaio. Per ogni check up bisognava organizzare un complesso viaggio in aereo, e soprattutto portare i suoi documenti in anticipo ai doganieri, e chiedere loro di fingere che lo lasciassero passare senza controllarlo, per chiara fama. ”Smania di signorilità” (è la definizione che Glenn Gould ha usato per se stesso, e forse si può usare anche per ABM)? Forse.

Volessimo fare di ABM una maschera andrebbero benissimo le definizioni esilaranti di Nonciclopedia, la famosa wikipedia in versiona punk/splatter. “Durante un concerto al teatro La Fenice di Venezia, Arturo Benedetti Michelangeli si commosse tanto per l’affetto del pubblico che massacrò il direttore d’orchestra facendone scempio del corpo”

Si conoscono venature di sadismo. Negli anni ’80, a cena in un ristorante tra le montagne profonde della Svizzera gli venne in mente di esigere un piatto di pesce a tutti i costi. Qualcuno dovette farsi 200 chilometri per recuperare una sogliola a Zurigo, che non si sa se fu, alla fine, consumata.

Volessimo fare di ABM una maschera andrebbero benissimo le definizioni esilaranti di Nonciclopedia, la famosa wikipedia in versiona punk/splatter. “Durante un concerto al teatro La Fenice di Venezia, Arturo Benedetti Michelangeli si commosse tanto per l’affetto del pubblico che massacrò il direttore d’orchestra facendone scempio del corpo”. Oppure: “Arturo Benedetti Michelangeli si laureò in medicina per asportare il cuore ai suoi genitori che lo avevano abbandonato quando era ancora un adorabile bimbo”. In Nonciclopedia si racconta anche che ABM avesse l’abitudine di fare fuori chiunque soltanto tossisse a un suo concerto con un archetto intriso di curaro, ma l’esagerazione, la parodia, la caricatura, non sono altro che estensioni del dominio dei luoghi comuni, giochi speculativi di verosimiglianza. Le maschere sì proteggono, ma, anche, rappresentano. Qualcosa di vero che innesta il gioco del riconoscimento c’è. Sempre.

Il suo accordatore storico, Angelo Fabbrini, ha raccontato in un’intervista al Centro: «Ero a casa di Benedetti Michelangeli a Lugano. Ormai ero stanco, erano le otto di sera e dissi al maestro che sarei andato a dormire. Ma lui mi rispose: “Angelo, no, continua, fai questo”. Il suo comportamento mi sembrò strano ma, in silenzio, ricominciai il lavoro da capo. Dopo un po’ capii che mi stava facendo un esame e chiesi il motivo. E Benedetti Michelangeli mi rispose: “Angelo, è vero che tu prepari i miei pianoforti da tanti anni e ci conosciamo bene. Ma se nel frattempo fossi impazzito? Su, fammi vedere se è così”». Sono comportamenti che più che al sadismo fanno pensare a una sfiducia metodica in tutti. Una sfiducia totale, sconsolata, irredimibile. In particolare verso chi aveva a che fare col suo mondo e con la sua sfera passionale. Michelangeli con gli altri era indulgente, faceva regolarmente i complimenti ai musicisti dilettanti. Negli anni 80 in Germania passò un’allegra serata con un non-competitor, il suo omologo del piano jazz Oscar Peterson. Con chi si avvicinava alla sua sfera le cose cambiavano. Qualcuno ha parlato nel suo caso di ansia di perfezione, incontentabilità, feroce tensione verso un ideale irraggiungibile. Chissà. Potrebbe essere, più che un’ansia, una semplice possessione sciamanica. L’altrove che muoveva Benedetti Michelangeli più che l’ossessione per la Perfezione sarebbe allora il rituale della Necessità, che lo portava a testimoniare i suoi dogmi senza avere molto altro da dire. Michelangeli parlava in genere poco, e ogni tanto ripeteva: “io sono sempre al lavoro”. Dopo i litigi più feroci sull’accordatura e l’azione del pianoforte Fabbrini, ridotto all’esasperazione, diceva “me ne vado”. Allora Michelangeli sedeva al piano, suonava un pezzo -che Fabbrini non sa cosa fosse- e lo bloccava sulla porta. Un incantatore di serpenti.

Dopo i litigi più feroci sull’accordatura e l’azione del pianoforte Fabbrini, ridotto all’esasperazione, diceva “me ne vado”. Allora Michelangeli sedeva al piano, suonava un pezzo -che Fabbrini non sa cosa fosse- e lo bloccava sulla porta

E un seduttore. Naturaliter. Il fidanzamento tra ABM e sua moglie cominciò quando entrambi avevano sei anni. I due si videro la prima volta un saggio musicale, ne è rimasta traccia pubblica in un articolo su Il Corriere di Brescia del del 10 dicembre 1926: “Una lode specialissima venne decretata al bambino Benedetti Michelangeli Arturo di soli sei anni” a quel saggio era presente anche Giuliana Guidetti, che divenne presto allieva del padre di ABM. I due finirono per sposarsi nel 1943. Lui le disse: «Ricordati: qualunque cosa succeda, sarà per sempre», ricorda la Guidetti nel suo libro Vita con Ciro, e aggiunge che ABM le diceva: “non aspettarti fedeltà da me, ma lealtà sì, sempre”. I due, più avanti, si separeranno. Quando arrivò la possibilità di divorziare, nel 1972 lei disse che non si sarebbe opposta. Lui le fece recapitare un’edizione dei Vangeli e un’antologia di preghiere di pensatori dei primi secoli del Cristianesimo. I due non divorzieranno mai. Ciro morirà nel 95, Giuliana nel 2015.

L’amore necessario e gli amori contingenti. Benedetti Michelangeli, ascetico in molte cose, era del resto un avventuriero gentile. Marisa Bruni Tedeschi, madre di Carla Bruni, nel libro Care figlie vi scrivo, racconta in modo abbastanza preciso la storia d’amore con Benedetti Michelangeli. Racconta che lei lo chiamava Archange, e racconta che al primo incontro, in un camerino a Parigi nel 1973, lei l’aveva subito invitato a cena. “Non poteva, era desolato, doveva partire all’alba per il Giappone. Non sapeva cosa dire. Sentivo il suo sguardo intenso, quasi disperato. Raccolse tutti i fiori che aveva e me li mise tra le braccia”.

La storia ci mise tempo ad andare avanti. A un certo momento la Bruni Tedeschi ricevette una telefonata da Marie Josè Gros-Dubois, la donna con cui Michelangeli conviveva in Svizzera: “Lui non può più suonare, pensa solo a lei. La prego di chiamarlo”.

Michelangeli gli diceva: “Spogliami di tutto”. Voleva che tutti i soldi che non gli servivano per vivere andassero in beneficienza

Ma non è un fatto solo di amanti, avventure, storie d’amore necessarie e contingenti. Intorno a Benedetti Michelangeli tutti tendevano a disporsi con un atteggiamento di desiderio e allo stesso tempo di protezione. Percepivano una qualche abnorme fragilità dietro l’imperscrutabilità.

Una testimonianza chiave a riguardo è appunto quella di Paolo Mettel, che racconta di come, a metà degli anni 80 avesse incontrato Michelangeli in Svizzera, fosse riuscito a invitarlo a casa sua per un caffè (Michelangeli appena visto lo Steinway di Mettel fece una nota una sola e disse: “per caso è un pianàio lei?”), e da lì fosse cominciato il rapporto. Mettel, che non ha mai voluto compenso per il suo lavoro di amministratore dei beni di Michelangeli, lo incontrava molto spesso. Michelangeli gli diceva: “Spogliami di tutto”. Voleva che tutti i soldi che non gli servivano per vivere andassero in beneficienza. Non a generiche organizzazione benefiche, ma a opere di aiuto (orfanotrofi, ospedali, ecc) che aveva conosciuto direttamente. Il suo testamento comprendeva la volontà che le royalities delle registrazioni andassero tutte in beneficienza. La cosa poi non si realizzò perché i parenti chiesero legittimamente la loro parte, ma l’intento di Michelangeli era staccare in modo deciso col mondo privandosi di tutto.

E poi, racconta Mettel, c’è la faccenda dello Steinway di Tokio. «Durante la tournée giapponese -racconta Mettel-, poco prima di un’esibizione, Michelangeli aveva visto che il pianoforte di riserva veniva portato via, calato giù dagli addetti. Si era fermato e aveva detto: “così questo rimarrà sempre un piano di riserva. Se lo portate alla Sony ci lavoro con Fabbrini”. Il 7 maggio 1993, all’ultimo concerto di Arturo Benedetti Michelangeli ad Amburgo, suonava proprio quello Steinway. Michelangeli, il salvatore degli sparring piano.

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