Calanda (Spagna) 29 marzo 1640 “El milagro de los milagros”

Arte, Cultura & Società

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Miguel Juan Pellicer ha 23 anni quando dopo tanto girovagare, decide di tornare nella sua casa a Calanda in Aragona. Negli ultimi anni è vissuto della carità del prossimo andando da città in città, da villaggio in villaggio. E’ privo di una gamba, amputatagli a seguito di un incidente di lavoro e per questo è “autorizzato” dalle autorità a mendicare. Anche nel suo paese continua a chiedere l’elemosina e quando se la sente, si spinge sino ai borghi vicini. E’ così che aiuta economicamente la famiglia contadina.

Quel 29 marzo del 1640, decide di dare una mano alla famiglia rendendosi utile in campagna con l’asinello, adibito in quest’occasione per il trasporto di letame. Malfermo su una gamba sola e poggiando il moncherino dell’altra sull’arto di legno, riempie i sacchi che l’animale porterà nella stalla condotto da una delle sorelle.

Quando la sera torna a casa, vi trova un invitato inatteso e magari poco gradito: un soldato. Nella mattinata erano, infatti, giunti in paese dei cavalleggeri i cui componenti erano stati, dalle autorità locali, smistati alla stregua di “ospiti” tra le varie famiglie del luogo. Dopo cena, il giovane saluta tutti, compresi una coppia di vicini venuti a passare la serata in casa Pellicer, e va a dormire, dopo aver slacciato l’arto di legno che appoggia sopra una sedia con accanto anche la stampella. Si dirige così, appoggiandosi a quel che trova verso la camera dei genitori, ove passa le notti.

A tarda sera, dopo che anche i visitatori sono andati via, in casa rimangono unicamente il soldato, un servitore, Miguel Juan e i genitori. A una certa ora, la madre del povero ragazzo entra in camera con un lume acceso. Subito si sente avvolta da un odore soave che la incuriosisce intimorendola. Alza il lume, va verso il pagliericcio del figlio, da dove la fragranza proveniva e da sotto la sgualcita coperta, troppo corta, non appare un piede solo com’era naturale aspettarsi, bensì due. La donna urla sorpresa, in casa si destano tutti, compreso il servo e il soldato, mentre più difficile da svegliare è lo stesso Miguel Juan che appare quasi in uno stato post narcosi.

Quando finalmente riprende conoscenza, gli mostrano l’arto che pare essere stato riattaccato al moncone, meravigliato, si rivolge verso il padre e tendendogli la mano chiede «che lo perdoni per le offese che sino allora ha potuto procurargli».

Il miracoloso evento ha un antefatto, che ci mostra un giovane, sano e robusto Miguel lasciare la casa paterna per cercare lavoro altrove, alcuni anni prima.

Si trasferisce a Castellon de la Plana, presso uno zio materno che gli offre volentieri un lavoro negli ubertosi campi della zona, le cui terre appartennero al regno di Valencia.

Nel luglio del 1637 ha un incidente mentre trasporta del grano. Una ruota del carro sul quale era sistemato il frumento gli passa sopra la gamba destra fratturandogliela. Dopo le prime cure è trasportato a Valencia ove è ricoverato nel locale ospedale. In seguito, in considerazione della gravità della ferita, si mette in viaggio con destinazione Saragozza, per essere assistito nel più attrezzato nosocomio noto come “Real Hospital de Gracia. Vi giungerà nell’ottobre dello stesso anno. Purtroppo lo stato dell’arto peggiora; la cancrena avanza ponendo in pericolo di vita lo sfortunato giovane. Si rende, pertanto, necessaria l’amputazione della gamba. L’arto reciso, attestano testimoni, è seppellito in un apposito settore dello stesso cimitero dell’ospedale. Da questo momento in poi Miguel Jan condurrà una vita da indigente, camminando con una gamba di legno e mendicando per sopravvivere.

Quello che avvenne dopo il ritorno a casa lo abbiamo già descritto, compreso anche il momento in cui la gamba amputata è miracolosamente riattaccata (reimpianto d’arto) al moncone. Naturalmente si grida al miracolo e che di miracolo si tratti, lo attesterà la stessa Chiesa a seguito di attenta disamina dei fatti in data 27 aprile 1641 da Don Pedro De Apaolaza Arcivescovo di Saragozza.

Sin qui il racconto dei fatti, raccolti e molto più dettagliatamente narrati dallo scrittore Vittorio Messori nel suo libro “Il Miracolo”, Edizioni BUR.

Stupisce come quest’avvenimento, definibile come “il miracolo dei miracoli”, nel grande oceano degli eventi soprannaturali non è passionalmente trattato dalla Chiesa. Sembra che in quest’occasione, contrariamente ad altri casi, dove fiumi di parole, scritti e pubblicazioni inondano le librerie, la comunità cristiana di vertice, voglia “sussurrare” il fatto più che parlarne e renderlo noto come meriterebbe: se oggettivamente accaduto. Forse che la biografia degli ultimi anni del miracolato imbarazza? Forse che la risposta del giovane alla “grazia” non è stata quella che ci si aspettava dal protagonista di tanto evento? In questo caso niente ritiro in convento a pregare e ringraziare Dio, ma, da quello che si conosce, un girovagare da paese in paese sino ad apparire a Maiorca, nelle Baleari, dove le autorità del  luogo chiedono che a Miguel Juan sia affiancato un tutore al fine di regolare meglio la sua vita, spesso costellata di “leggerezze” che al cognato accompagnatore nel viaggiare costano addirittura il carcere.  In ogni caso si può affermare che il giovane non ha mai approfittato del suo stato per fare quattrini. Non si conosce con esattezza neppure il luogo di morte e sepoltura.

A parte tutto ciò, resta che dopo la resurrezione di Lazzaro, l’evento di una gamba riattaccata non da mano umana, rappresenta di per se la risposta a quanti sulla base del pensiero razionalista si sono sempre dichiarati indifferenti di fronte ai miracoli.

“Crederei ai miracoli solo se mi dimostrassero che una gamba tagliata è ricresciuta. Ma questo non è avvenuto e non avverrà mai.” I fatti di Calanda rappresentano un boomerang per i negazionisti del soprannaturale.

In Italia se Vittorio Messori non avesse seguito il caso, pochissimi ne sarebbero a conoscenza. Dell’accaduto si è interessato André Deroo, scrivendo “L’uomo dalla gamba monca. Miracolo strepitoso della Madonna del Pilar”. Edizioni Paoline, 1961. Qualche giornalista come Marco Travaglio e un’edizione di Porta a Porta, ma, questi ultimi, sempre al traino del più volte citato Messori.

Il Comitato Italiano per il Controllo delle Affermazioni sulle Pseudoscienze (CICAP), si è interessato dal punto di vista puramente laico e positivista del “miracolo”, dubitando. Le motivazioni sono dettagliatamente espresse sulla rivista curata dal comitato il cui rimando è d’obbligo, poiché ogni riassunto dello scritto potrebbe snaturarne il senso originale. In ogni caso, due fatti meritano una particolare attenzione, in quanto, pro e contro la certezza del prodigio. Il primo è dato dalla sicurezza che dopo l’evento miracoloso, l’arto amputato e poi sepolto, a suo tempo, nel cimitero dell’ospedale di Saragozza non sarà più rinvenuto in quel posto, né altrove. Il secondo è il momento in cui il giovane si rende conto di avere due gambe. Egli si rivolge al padre (nel libro di Messori “padre” è scritto con l’iniziale minuscola) chiedendo perdono per le offese arrecategli. Che motivo c’era di volgersi al proprio padre naturale e non al Padre divino per scusarsi? La mistificazione di una falsa mutilazione, qui, è dietro l’angolo. Messori offre del fatto una lettura che rinvia al Vangelo, ma Messori è un autore fortemente credente, non così tanti altri, più pragmatisti.

Il mondo, invero, è grande e c’è posto per tutti e per tutte le opinioni. Riteniamo che il “credere” o il “non credere” in fatto di scienza o di religione siano due facce della stessa medaglia, quella della ricerca, che a ben guardare ha in essa stessa un contenuto liturgico. Di questa fa certamente parte ciò che avvenne a Calanda. Ognuno poi lo “legga” in base a ciò che sente, ricordando, se vogliamo aggiungere un tocco di classicità, il filosofo e retore Protagora. Ebbe a dire: «L’uomo è misura (mètron) di tutte le cose, di quelle che sono per ciò che sono, e di quelle che non sono per ciò che non sono.».

Giuseppe Rinaldi

 

 

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