«Calca ai cancelli, fuga drammatica Facciamo le liste di chi può partire»

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Maeci

 

«Le immagini che tutti hanno visto, noi le abbiamo vissute, e restituiscono appieno la drammaticità del momento. Di certo noi facciamo tutto il possibile, mettendo a disposizione tutte le risorse disponibili, siamo sempre stati operativi». La sera è calata e, nell’aeroporto internazionale Hamid Karzai, il console italiano a Kabul, Tommaso Claudi, giovane diplomatico di Camerino (Macerata) al suo primo incarico di una carriera iniziata nel 2017, è ancora in ufficio. È stanco, ma cerca di non darlo a vedere. Si mostra freddo e professionale, ma chissà cosa ha dentro.

Console, qual è oggi la situazione all’aeroporto di Kabul? È sempre assediato da migliaia di persone disperate?

«Continua a esserci un gran numero di persone ai cancelli dell’aeroporto, che tentano a ogni costo di allontanarsi da Kabul. La situazione è certamente seria. Ci troviamo in una situazione di grave crisi umanitaria e le operazioni di tutela dei civili afghani in pericolo e di evacuazione rimangono per ora l’obiettivo primario, a partire dalle categorie più a rischio, bambini e donne. Uno dei maggiori rischi è quello di calche che si possono creare agli ingressi».

Come viene fatta la scelta di chi parte e di chi resta?

«Sulla base di liste da tempo elaborate dai collaboratori del nostro contingente militare e dell’Ambasciata, a cui si aggiungono nuovi casi umanitari che cerchiamo di soddisfare, in particolare attivisti esposti per l’impegno a favore dei diritti dei cittadini, delle donne e delle minoranze».

Quanti italiani ci sono ancora nel Paese? E quanti di loro vogliono essere evacuati?

«Ci sono attualmente circa 20 connazionali, si tratta di professionisti nel campo del sostegno umanitario. Posso dirle che la quasi totalità è impegnata con Ong italiane e straniere e ritiene che, proprio nel momento di maggior crisi, sia necessaria la loro presenza a beneficio del popolo afghano».

Oltre al personale dell’Ambasciata e ad altri operatori umanitari, avete ad oggi riportato in Italia circa 532 collaboratori afghani e altri 192 sono in arrivo. Il ministro Di Maio ha parlato di una lista di 2.500 persone totali da cercare di rimpatriare. Numeri importanti.

«L’Italia è stato uno dei principali donatori e contributore militare in Afghanistan in questi ultimi venti anni. I numeri sono necessariamente elevati».

Molti degli afghani da portare in Italia sono a Herat. Avete considerato la possibilità, d’intesa con i talebani, di farli imbarcare da là, nell’aeroporto della nostra ex base?

«In questo momento, i voli nazionali in Afghanistan non sono operativi e il solo aeroporto utilizzabile per questi trasferimenti è a Kabul».

Fino a quando continuerà il ponte aereo?

«Fino a quando sarà possibile, e compatibilmente con le condizioni di sicurezza».

Che significa per lei essere lì? Non solo professionalmente ma anche umanamente.

«Sono un diplomatico che rappresenta l’Italia in un contesto complesso e in costante evoluzione, che opera nel quadro di una missione istituzionale del mio Paese. Rimarrò quindi tutto il tempo necessario, finché ce ne sarà bisogno. È senza dubbio una esperienza intensa che si può affrontare grazie alla collaborazione di tutte le articolazioni del nostro Paese che sono qui con me, e con quel senso di comunità e dedizione al prossimo che gli italiani sanno mostrare nelle grandi prove».

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