Celebrata la Giornata dell’ambiente tra effetto guerra, promesse non mantenute e plastica

Ambiente, Natura & Salute

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Celebrata in tutto il mondo la Giornata dell’ambiente tra effetto guerra, promesse non mantenute e il flagello plastica

Uno slogan ha caratterizzato quest’anno in tutto il mondo la celebrazione della Giornata dell’ambiente: “abbiamo una sola Terra, Only One Earth. Un solo pianeta, non dobbiamo sprecarlo”. Il che vuol dire che è necessaria un’azione globale, collettiva e trasformativa per celebrare, proteggere e ripristinare il nostro pianeta. Lo slogan scelto quest’anno   è lo stesso di 50 anni fa. Quando, dal 5 al 16 giugno 1972, si tenne a Stoccolma la prima conferenza mondiale delle Nazioni Unite sul clima. Quest’anno lo stesso slogan di allora e la stessa nazione;  ad ospitare la Giornata mondiale  sarà infatti ancora una volta la Svezia.

Parte da qui, l’appello rivolto  a tutto il mondo di avere più rispetto per l’ambiente. Ma c’è anche un monito: «Il benessere globale è a rischio: e lo è in gran parte perché non abbiamo mantenuto le nostre promesse sull’ambiente – ricorda il segretario generale dell’Onu, António Guterres, intervenendo al summit Stockholm+50 convocato dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite. Sebbene dal 1972 ci siano stati successi nella protezione del pianeta, compreso il salvataggio dello strato di ozono, i sistemi naturali della Terra non possono tenere il passo con le nostre richieste». È importante, a questo punto, «invertire la perdita della natura entro il 2030» sottolinea Guterres. Non si tratta quindi solo di rispettare l’ambiente ma ora serve più che mai ripristinarlo.

Ci si chiede ovviamente come? Le proposte sono tante. Si va dalla piantumazione degli alberi per abbattere la CO2, all’economia circolare per ridurre gli scarti, dall’uso dell’energia pulita al ripristino di una dieta alimentare più sana e sostenibile contro gli allevamenti intensivi. Ma non basta. L’elenco è lungo e si potrebbe procedere uno ad uno per tutti i 17 obiettivi di sviluppo sostenibile fissati dall’agenda dell’Onu per l’anno 2030. Ma lungo la già complicata corsa verso quella data si è posta di traverso anche la guerra in Ucraina. Che non è solo, dal punto di vista ambientale, emissioni di rifiuti tossici, incendi e migliaia di carri armati e veicoli blindati russi abbandonati. Secondo l’Onu, l’Ucraina è uno dei Paesi più minati al mondo.

Più di 80.000mila chilometri quadrati dell’Ucraina devono essere ripuliti da mine e resti di esplosivi. Non solo crimini di guerra ma anche crimini contro l’umanità; in Ucraina si stanno compiendo anche “crimini contro l’ambiente” e sono gravissimi perché come avvertono gli ambientalisti, «le ferite inflitte dall’esercito russo alle foreste, alle steppe e ai bacini idrici dell’Ucraina rimarranno per decenni e l’eredità della guerra sarà minacciata anche dopo che le armi taceranno». Ma la guerra in Ucraina ha di fatto anche rallentato la transizione ecologica e aperto scenari (riaperte le centrali a carbone e nucleari) che sembravano ormai superati. I giovani intanto chiedono l’embargo totale del gas russo. «L’Europa smetta di acquistare gas, petrolio e carbone dalla Russia, così come da qualsiasi altro Stato – chiedono gli attivisti europei del movimento ambientalista “Fridays for future” .

Nonostante le parole di solidarietà dei leader politici, l’Unione europea dal 24 febbraio u.s. ad oggi ha pagato 55 miliardi di euro per acquistare i combustibili fossili russi. In questo modo gli Stati “democratici” stanno cofinanziando la macchina da guerra di Putin in Ucraina. L’Europa non deve più alimentare regimi autoritari comprando gas, petrolio e carbone insanguinati. Continuiamo a unire le forze e insistere insieme affinché avvenga una rapida e giusta transizione verso l’energia rinnovabile!». Ma c’è anche il “flagello” plastica che minaccia l’ambiente e contribuisce al crollo della biodiversità. L’avvertimento lanciato dall’Ocse (l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) è drammatico: se nulla verrà fatto per fermare questa situazione, la produzione di plastica sarà praticamente moltiplicata per tre rispetto al livello del 2019, da 460 milioni di tonnellate a 1231 milioni di tonnellate. I rifiuti di plastica aumenteranno nelle stesse proporzioni, da 353 a 1,14 milioni di tonnellate. Le centinaia di milioni di tonnellate di rifiuti prodotti annualmente si degradano in microplastiche che vengono ritrovate in tutti gli oceani del globo ma anche nel corpo degli esseri umani e degli animali nonché nell’aria prelevata in cima alle montagne.

All’ inizio di marzo, l’Onu ha lanciato i negoziati per un trattato mondiale contro l’inquinamento delle plastiche, ma la conclusione del testo è attesa non prima del 2024.Si va insomma a rilento, troppo a rilento, l’urgenza degli  interventi radicali e  necessari per salvare il pianeta non va purtroppo di pari passo con quell’elefante che si chiama burocrazia  e tanto meno può farsi condizionare dagli interessi economici e politici delle grandi nazioni che poi sono quelle che frenano l’adozione dei provvedimenti ormai da anni invocati da scienziati, esperti, organizzazioni mondiali che si occupano della salute del pianeta. Una  maggiore opera di prevenzione e di sensibilizzazione si rende necessaria; gli interessi in gioco non  sono mutuabili e tantomeno negoziabili; l’imperativo categorico per tutti noi resta quello di salvare l’umanità. Anche i giornali, cartacei e on line, i media, i social possono e devono fare la loro parte.

Giacomo Marcario

foto da facebook

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