Cina, la grande partita dietro la resa dei conti con Jack Ma

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Il fondatore di Alibaba era diventato troppo potente e troppo indipendente per il Partito comunista

© AFP – Jack Ma

Coi soldi in Cina puoi comprarci di tutto ma non il potere. Quello non si tocca. Si spiega così l’improvvisa ‘caduta’ di Jack Ma, uno degli uomini più ricchi e più potenti del mondo. Più conosciuto di Xi Jinping, Ma, il fondatore di Alibaba, era Jeff Bezos, Elon Musk e Bill Gates tutti in uno.

In Cina intorno al suo impero tentacolare rischiava di consolidarsi un potere alternativo: centinaia di milioni di cinesi utilizzano i prodotti che Ma ha creato e altrettanti affidano i propri risparmi ai fondi monetari di Ant, la costola finanziaria di Alibaba. Inoltre il suo colosso online è cresciuto anche offline, acquistando catene di supermercati e partecipazioni nelle società di arredamento per la casa e nei principali gruppi di media cinesi.

L’attacco al sistema

Secondo Forbes Ma era il leader della nuova Cina. Tuttavia il suo carisma, il suo potere e anche un bel po’ dei soldi di questo imprenditore star, sono svaniti in un attimo, dopo un discorso pubblico nel quale, nell’ottobre 2020, Ma ha attaccato il sistema di regole cinese, attirando su di sé le ire del presidente Xi Jinping. Sei giorni dopo quel discorso, il 31 ottobre, Ma ha partecipato a un evento annuale dedicato allo shopping online e da quel giorno non è più apparso in pubblico. Il governo di Pechino ha reagito col pugno di ferro alle sue critiche, ha bloccato in extremis la ‘più grande Ipo della storia’, l’offerta pubblica della compagnia finanziaria Ant Group e ha multato Alibaba per 2,8 milioni di dollari per pratiche commerciali anti competitive. Poi ha condannato Ma a ritirarsi dalla scena pubblica per dedicarsi al riposo e a coltivare i suoi hobby. 

L’esproprio

I suoi asset sono stati espropriati, tagliati, degradati, il suo business e il suo patrimonio, che nel 2020 superava i 60 miliardi di dollari, sono stati smantellati, lui è stato rimosso perfino dall’incarico di presidente dell’Università Jack Ma’s Hupan, la scuola di business di élite fondata nel 2015.

A metà giugno, Ma si è dimesso da presidente della sua scuola d’elite e passa molto tempo a dipingere. Lo fa sapere il vice presidente di Alibaba, JoeTsai. “Sta bene – dice Tsai alla Cnbc – molto bene. Ha iniziato a dipingere e se la cava molto bene”.

Il Financial Times rende noto che Ma e Tsai stanno chiedendo prestiti a diverse banche globali, dando in garanzia i titoli delle loro azioni, per fare investimenti in campo immobiliare, jet privati e altri affari. Insomma, la ‘stella’ di Ma, che era scomparsa, si era volatilizzata da un giorno all’altro, non si è del tutto spenta, diciamo che si è appannata, non è propio svanita, ma quasi.

Il mancato allineamento

Cosa è successo? Lo spiega al Wall Street Journal un alto dirigente del partito comunista: “A Xi non importa se un capitano d’industria arriva in cima alla lista dei ricchi, come era il caso di Jack Ma; quello che gli interessa è che allinei i propri interessi a quelli dello Stato”. Insomma, Xi Jinping ha punito Ma per ribadire a chiare lettere chi comanda davvero nel Paese.

Un messaggio, il suo, diretto in realtà a tutte le altre realtà cinesi in rampa di lancio, nel settore tech e non solo, che avessero anche solo pensato di mettere in discussione le gerarchie consolidate. In altre parole, Xi ha ridimensionato Ma, il quale se ora vuole continuare a far soldi potrà farlo, scordandosi però di criticare il regime, o di mettere bocca in faccende politiche. 

L’altro obiettivo, un po’ più recondito ma non meno importante, è quello che Xi ha lanciato ai big di Internet e riguarda l’enorme mole di dati personali detenuti dai giganti tecnologici cinesi, ai quali il governo di Pechino chiede pieno accesso. I big di Internet hanno fatto resistenza alla richiesta delle autorità politiche di piena condivisione dei loro dati. Di qui il braccio di ferro avviato con Tencent, Alibaba & company e l’approvazione di nuove leggi che renderanno più difficile per le aziende tech cinesi resistere a tali richieste.

I timori di Pechino

Il partito comunista cinese teme che i giganti della tecnologia possano utilizzare i loro ampi data base digitali personali e aziendali per costruire centri di potere alternativi al partito unico e allo Stato. E anche questa preoccupazione ha spinto Xi a fermare l’offerta pubblica iniziale pianificata da parte del colosso della tecnologia finanziaria Ant e a rimettere in riga Jack Ma. Pechino sta infatti intensificando la pressione sulle aziende digitalizzate, anche quelle straniere, a partire da Tesla, che operano in Cina per mettere sotto controllo i loro data center.

Il controllo del governo sulle imprese

Dietro queste mosse della Cina c’è la volontà di considerare i dati accumulati dal settore privato essenzialmente come un bene nazionale, che può essere sfruttato o limitato in base alle esigenze dello Stato. Tali esigenze includono la gestione dei rischi finanziari, il monitoraggio delle epidemie, il sostegno alle priorità economiche statali e la sorveglianza di criminali e oppositori politici. Le autorità cinesi temono anche che le aziende possano condividere i loro dati con partner commerciali stranieri, minando così la sicurezza nazionale. 

Per questo nell’ultimo piano economico quinquennale, per la prima volta, Pechino ha sottolineato la necessità di rafforzare, almeno per 5 anni, l’influenza del governo sui dati delle imprese private. La nuova legge sulla sicurezza dei dati, che entrerà in vigore il primo settembre, prevede l’obiettivo di classificare i dati del settore privato in base alla loro importanza per gli interessi statali.

La partita su Big Data

La clausola formulata in modo vago, affermano analisti ed esperti legali, offre alle autorità un margine di manovra notevolmente maggiore per controllare i dati ritenuti essenziali per lo Stato, rendendo più difficile per le imprese, sia cinesi che straniere, dire di no alla condivisione dei loro archivi. Inoltre le nuove leggi eludono ed entrano in collisione coi provvedimenti sulla protezione delle informazioni personali, richiesti dalle grandi istituzioni internazionali e che in Cina si stanno programmando sul modello del regolamento sulla protezione dei dati dell’Unione europea. Insomma, la partita sul controllo dei big data in Cina è iniziata e la vicenda Ma fa parte della posta in gioco. In ballo c’è la centralizzazione del potere, il futuro della Cina e il suo ruolo di grande potenza in un mondo globalizzato e digitalizzato. agi

Redazione Corriere Nazionale

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