Come sconfiggere la Pandemia Psicologica. Dall’ansia al benessere: ascoltare il richiamo del corpo

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Negli Stai Uniti si parla ormai con sempre maggiore insistenza, in presenza peraltro del Pandemico Coronavirus non ancora domato e messo sotto controllo, di :pandemia psicologica. Gli studiosi di oltreoceano si riferiscono al rischio che la pandemia abbia delle ripercussioni psicologiche in vasta scala sulla popolazione.

Il termine ansia può far riferimento sia ad una condizione transitoria, ad uno stato emozionale di un individuo in un dato momento, sia ad una variabile di personalità relativamente stabile che può caratterizzare alcuni individui e differenziarli da altri. L’ansia è l’anticipazione apprensiva di un pericolo o di una minaccia futura, reale o percepita, accompagnata da sintomi fisici di tensione.

Questa definizione sembra molto coerente con il momento storico che stiamo vivendo, l’apprensione con cui pensiamo al futuro, la preoccupazione di questa minaccia invisibile con la quale dobbiamo fare i conti ogni giorno e alla quale è difficile non pensare, complici tutte le regole che siamo tenuti a rispettare. I disturbi d’ansia comprendono una varietà di condizioni diverse tra loro che condividono caratteristiche di paura e ansia eccessiva.

Quest’ultima è più frequentemente associata a tensione muscolare e vigilanza, ad uno stato di apprensione e preoccupazione e a comportamenti protettivi o di evitamento. La paura, invece, è una risposta emotiva ad un pericolo imminente, reale o percepito, ed è associata a picchi più alti di attivazione del sistema nervoso autonomo e a comportanti di fuga o attacco.

Nonostante ansia e paura siano differenti, spesso si sovrappongono. L’esperienza che abbiamo vissuto può essere considerata a tutti gli effetti un’esperienza traumatica ancora oggi perdurante o quanto meno residuale, subdola in quanto sembra tramortita dalle ingenti dosi di vaccino ma poi rialza minacciosa la testa con le sue varanti.  

Un trauma è causato da qualcosa che mette in pericolo la nostra incolumità e quella dei nostri cari. Le conseguenze mutano a seconda del grado di coinvolgimento, che sarà ovviamente più pronunciato in coloro che hanno vissuto direttamente il pericolo: infermieri, medici, chi ha perso il lavoro, chi ha avuto conoscenti, parenti o amici contagiati.

Le conseguenze di questo trauma possono essere molteplici: incubi, pensieri invalidanti, ansia, insonnia e attacchi di panico. Durante questa fase possiamo notare due differenti tipi di reazioni al trauma. Persone che hanno sottovalutato il pericolo. Sono quelli che quando il Governo ha allentato le maglie del lockdown hanno cercato in tutti i modi di riprendersi nel minore tempo possibile le loro abitudini pre-pandemia. Questo tipo di comportamento è stato riscontrato soprattutto nei giovani e rappresenta la negazione del pericolo e del rischio come difesa dal trauma.

Ciò avviene perché la nostra specie è programmata per aver bisogno della vicinanza dell’altro, la selezione naturale ha fatto sì che abbiamo bisogno dell’altro. Quando gli altri non ci sono, noi entriamo in un atteggiamento che ci spinge a cercarli. Oltre tutto abbiamo bisogno del contatto dell’altro, il contatto con l’altro ci fa produrre ossitocina, il cosiddetto ormone dell’amore o dell’abbraccio.

Questa programmazione spiega questa negazione del pericolo per se stessi e per gli altri. Si è soliti in questi casi parlare della Sindrome della Capanna ovvero del bisogno di allungare la permanenza nelle nostre case, della difficoltà nel riprendere i ritmi della vita normale e abbandonare il luogo sicuro. Per qualcuno rappresenta una sana opportunità di cambiamento finalizzato ad una vita meno frenetica, per altri la cosiddetta Sindrome della Capanna si traduce in ansia, insonnia e irritabilità.

Nel peggiore dei casi si possono sviluppare veri e propri attacchi di panico. Va detto che alla base
di tutto deve esserci una comprensione della realtà della nostra situazione, questo per evitare di sovrastimare il pericolo e sottostimare le nostre capacità di proteggerci da esse. La mente umana necessita di tempo per riadattarsi a nuove situazioni, in particolar modo quando queste mutano in maniera repentina. Adottare sane abitudini, concederci dei piccoli piaceri, praticare semplici esercizi di respirazione e condividere le proprie emozioni con i propri affetti, questi sono piccoli accorgimenti che potranno sembrare scontati, ma che seguiti in maniera metodica porteranno i loro frutti.

Un’altra cosa importante è fare temporaneamente spazio alla paura e all’ansia, vanno accettate queste sensazioni senza che ci si abitui a loro e occorre concentrarsi su quelle attività che fanno stare bene. Esporsi gradualmente e con tutte le accortezze del caso a piccole uscite, è scientificamente dimostrato che dopo venti minuti di esposizione alla situazione che genera ansia, quest’ultima tende a diminuire. In conclusione occorre ribadire come sempre che, qualora i sintomi persistessero, è opportuno rivolgersi a uno specialista per evitare che un trauma ampiamente superabile generi disturbi nel lungo periodo.

L’ansia è uno stato di attivazione neurofisiologica che produce una «affannosa agitazione interiore provocata da bramosia o da incertezza». Invece di combatterla e scacciarla l’ansia va accolta, conosciuta. Con l’ansia occorre dialogare e ascoltare quello che ha da dirci. La parola ansia, dal latino “angere” ossia stringere ci informa della presenza di una minaccia, di un pericolo da fronteggiare. Il pericolo può essere esterno come ritmi frenetici, obiettivi sempre più sfidanti che mettono a repentaglio il nostro benessere. Il pericolo può scaturire anche da dentro noi stessi a causa di una smania di affermazione, eccesso di senso del dovere, smania di aderire ad una immagine ideale di noi stessi, incapacità di dire no per paura di perdere la persona amata. In questi casi l’ansia segnala la presenza del pericolo di soffrire.

La paura del dolore emotivo del sentirsi in colpa, inadeguatezza o soli. L’ansia ci dice che è giunto il momento di smettere di stare lontano dai nostri desideri più profondi e che fanno parte della nostra natura. Il desiderio di esprimerci liberamene, di darci il permesso di fare scelte “impopolari” rispetto alla immagine ideale di noi stessi, il desiderio di realizzare un sogno nel cassetto e tanto altro ancora. L’ansia non è un evento mentale.

La nostra ansia abita il nostro corpo. Possiamo rintracciare il “cinogramma”, cioè la contrazione/tensione di quella parte del corpo in cui abita l’ansia, in quel distretto del corpo si conserva la memoria corporea di qualcosa che è avvenuto in passato, e che continua a collocarsi proprio in quelle zone. L’ansia compare tutto le volte che ci sforziamo di essere come dovremmo e dimentichiamo di essere come siamo.

Ci sforziamo di essere perfetti rispetto ad un’immagine interiore che abbiamo di noi stessi, vogliamo essere perfetti costringendoci ad essere diversi da come siamo veramente giudicandoci in modo severo quando mostriamo le nostre fragilità, davanti ai nostri errori siamo crudeli con noi stessi: devo farcela, devo essere forte, sono bravo/a, quello che faccio è giusto.

Un buon esercizio è sentire quali sono i distretti del corpo che si tensionano maggiormente quando pensiamo ad una delle tante situazioni che ci producono ansia, possiamo scoprire che si tratta delle spalle e del collo, degli occhi o della mandibola, del petto, dell’addome, delle gambe, dei piedi e così via e con degli opportuni esercizi ascoltare proprio quelle parti del corpo. Non va dimenticato che la nostra ansia è una messaggera, essa ha un volto e se l’accogliamo anche attraverso una visualizzazione immaginativa essa può narrarci quale parte di noi stiamo dimenticando o peggio stiamo severamente rimproverando.

Giacomo Marcario

 

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