Come volevasi dimostrare

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I 5 stelle, ex puri e duri, ormai frequentatori di letti, anche nel senso letterale del termine, leghisti, postcomunisti ed ora berlusconiani, non sono più niente. D’altronde il loro vero capo, per restare guru e profeta, non si è voluto sporcare le mani sul campo.

Allora gli scalpi di inizio anno si sono concretizzati in una serie di fatti. Il Presidente, scelto da Renzi  nel 2015 in modo divisivo, ha cacciato quello che appariva il più inamovibile dei premier, sostenuto da due delle più nutrite formazioni parlamentari che giuravano, e fino all’ultimo, di sostenerlo alla morte. Renzi gliel’aveva detto alla pochette – sei solo una mosca cocchiera –  e la moscheta non ci aveva creduto per finire poi con le zampette bloccate nella marmellata.

Con questa mossa, Renzi è riuscito prima a cacciare la Lega, e poi i 5stelle dalla conduzione del paese; vale a dire le formazioni partitiche più numerose in Parlamento. La prima, cacciata dal governo da Renzi, ci è passata sopra senza rancori. Ha realizzato, secondo quel suo animo pragmatico da democristiani settentrionali, che preferisce sempre, potendo, avere le mani in pasta che le sarebbe toccata come primo partito di destra una perenne campagna di Giustizia, ogni volta che si fosse avvicinata al potere e che invece sarebbe stata al sicuro con il salvacondotto del nuovo governo di Superman.

I 5 stelle, ex puri e duri, ormai frequentatori di letti, anche nel senso letterale del termine, leghisti, postcomunisti ed ora berlusconiani, non sono più niente. D’altronde il loro vero capo, per restare guru e profeta, non si è voluto sporcare le mani sul campo. La mosca cocchiera è stata un’illusione e la massa pentastellata corre in circolo, frastornata  e divisa, senza testa, mentre pochi cecchini precisi le sparano, lasciandoli terrorizzati, feriti, caduti a terra. I pentastellati salveranno ancora gi stipendi ma, nel caso improbabile, arrivassero alla fine della legislatura, sono destinati, almeno per una metà, a finire nel gruppo misto. La vicenda governativa ha tolto loro ogni dignità. In attesa che Travaglio non diventi il leader sul campo della metà rimasta.

Quanto ai postcomunisti, Renzi dopo averli rottamati, (resi degli zoombies viventi amati comunque dagli aficionados dello scream partitico), ha fatto di peggio, li ha resi ridicoli. La satira di regime non lo dirà mai, ma è uno spettacolo vedere il corposo, ridente segretario Yoghi del Pd venire portato per naso, prima a rafficare che il governo Conte è il disastro compiuto, poi che il governo Conte è semplicemente meraviglioso, poi che il governo Conte verrà difeso fino alla morte e che i renziani saranno odiati per sempre, infine sottostare supino e zittino sotto il governo deciso dal Presidente scelto da Renzi. Uno spettacolo mai visto neanche ai tempi dello streaming di Bersani. Yoghi, pur disponendo di una forza considerevole, ha fatto ogni volta quel che diceva e voleva Renzi, come uno stupido, che non volente, segue l’intelligente, perché, non comprendendo, istintivamente, intuisce che è meglio così.

Lo scalpo migliore di tutti, quello inaspettato, però non è un partito ma è un altro potere, quello della giustizia. Il governo indignato, dopo aver cercato, come un leguleio incapace, di fare acquisti nelle corti dei miracoli parlamentari, ha rinunciato a porre ai voti la sua conduzione davighiana della giustizia. All’ombra delle confessioni palamarate, il partito giustizialista ha avuto paura della politica, tante volte terrorizzata e incarcerata. Ed è fuggito evaporando. Cosa mai vista dai tempi del voto parlamentare favorevole a Craxi scatenò il tiro delle monetine. Stavolta metaforicamente le monetine sono finite sulle spalle ermellinate in fuga.

Non si può dire che della nuova ammucchiata governativa il popolo, anzi i diversi popoli, siano entusiasti, anzi. In cuor loro, l’atteggiamento contrario preso dai Fratelli, è quello comune, sentito alle diverse latitudini politiche. Anche i Fratelli però sanno che l’ammucchiata nasce con segno destro inglobando la nuova strana sinistra, al contrario di quella montiana che fu di segno sinistro includendo una destra vilipesa. L’ha capito l’estrema sinistra che partiticamente rifiuta l’unità nazionale per poi pateticamente e parlamentarmente difenderla in nome del suo ministro.

Certo in un paese occidentale a tutto tondo, il Presidente avrebbe indetto elezioni, senza scuse ridicole. I partiti, per rispetto di se stessi e per i loro elettori, non si sarebbero attaccati agli scranni, che, senza rispetto di entrambi, a suo tempo hanno accettato, di ridurre sostanzialmente, senza convinzione. Una simile decisione parlamentare pretendeva all’epoca immediate elezioni. Siamo tornati però alla melina dei ’90 quando le elezioni venivano sempre rimandate perché l’esito non avrebbe rispettato la religione di Mani Pulite.

Si può vedere Renzi come l’interprete (o complottisticamente il burattino o il maestro) del potere finanziario la cui democrazia economica sta soppiantando quella politica. Ha fatto chiamare l’italiano considerato Superman, Eroe e Santo all’estero (o fatto credere tale), come un Gattamelata, un Giovanni delle Bande Nere, un Corsaro Nero sabaudo, un Doria, un Farnese, un Colombo, un Marconi. Un Indiscusso e Indiscutibile, il contrario dell’unovaleuno, la fisicizzazione del potere finanziario, un Einaudi decisore. Il popolo elettore non lo vorrebbe ma per ora ferma gli istinti venezuelani e argentini nell’idea che l’Italia, prima non indipendente militarmente, non lo è più, tragicamente, neanche economicamente. Conte stava sempre in Tv e sui social per attirare consenso, l’exploit televisivo di Renzi era invece rivolto ai vertici di partito e potere. Come previsto, dopo D’Alema, Prodi, leghisti, post comunisti, sono arrivati nuoviscalpiConte,Casalino, 5stelle, la Giustizia. E messo in dirittura sulla via quirinalizia, Superman, cui solo l’invenzione di una proposta femminile berlusconiana, come la Casellati, può porre un freno ed un riscatto della politica.

Non c’è da parlare di crisi della democrazia quando gran parte della politica ha smesso di credere alla bontàdella sua essenza, la democrazia del voto, già inficiata dalla giustizia. Il voto popolare però se lo è meritato ampiamente; è un voto che non vuole riforme se non quelle impossibili su scala globale. L’Italia del futuro dovrà fare i conti con l’incombente democrazia economica delle oligarchie futuriste, che spazza via la forza del voto. L’indipendenza, inseguita da secoli, resta una chimera. Già negata ideologicamente e per trattati, domani lo sarà forse per legge.

Giuseppe Mele

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