Corea del sud tra due fuochi: aut-aut per Moon?

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Menzione speciale negli eventi di queste settimane deve essere riconosciuta al presidente sudcoreano Moon Jae-in. Per allontanare lo spettro di un secondo conflitto nella penisola coreana – dopo quello del 1950-1953 che causò quasi 3 milioni di morti – il presidente sudcoreano ha raccolto una sfida importantissima per il suo ruolo di Capo di Stato. In lui Kim Jong Un sembra aver riconosciuto un interlocutore più autonomo dai diktat di Washingtonrispetto ai predecessori e quindi credibile. In effetti, per quanto Moon non dimentichi mai di ricordare il sostegno proveniente dall’amministrazione Trump al processo di distensione e di affermare che l’alleanza con Washington è “di ferro’’, nei mesi scorsi sono emerse delle evidenti divergenze tra i due circa i rispettivi approcci alla ‘questione nordcoreana’. Moon, esponente dello schieramento democratico-progressista sudcoreano, tradizionalmente sostenitore di un approccio dialogante con il Nord, potrebbe essere il terzo presidente a incontrare il leader del regime nordcoreano, dopo i summit del 2000 e 2007.

Di fronte a una opposizione conservatriceche in Corea del Sud guarda alla strategia della Casa Blu in maniera estremamente critica, temendo che Seoul possa fare concessioni che Pyongyang non merita, il presidente Moon si sta giocando gran parte della sua credibilità politica, conscio del fatto che se la finestra di opportunità che si sta aprendo dovesse chiudersi, e se anzi i livelli di tensione nella penisola dovessero innalzarsi di nuovo, la sua carriera politica giungerebbe al termine.

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