Coronavirus, anche la Costituzione rischia la quarantena

L’emergenza sanitaria abilita il Premier a limitare i diritti fondamentali. Una soluzione che sembra poco compatibile con la costituzione

Politica

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di Giuseppe Nuzzo

L’emergenza sanitaria che stiamo vivendo non ha precedenti nella storia repubblicana italiana.

In questo momento, di fronte alle drammatiche notizie che arrivano dalle zone più colpite dal coronavirus, può apparire quasi inutile interrogarsi sulla compatibilità delle misure adottate dal Governo rispetto alla nostra Costituzione. Misure eccezionali per fronteggiare una situazione di gravità mai vista, che rinviano ogni discussione a quando – auguriamoci presto – l’emergenza epidemiologica sarà finita.

Occorre però evitare il rischio di far passare l’idea che la Costituzione valga solo per i tempi “normali” e non anche per i tempi “eccezionali”. Un’idea sbagliata, soprattutto con riguardo ai principi fondamentali. È vero che in alcune fasi storiche la forza della Costituzione si attenua. Del resto, tutte le costituzioni moderne individuano organi e procedure per far fronte a situazioni straordinarie: guerre, stati di assedio, emergenze di vario tipo. Tuttavia, anche in questi casi la Costituzione non viene meno, piuttosto opera in modo diverso rispetto all’ “ordinario”.

Il Governo ha inquadrato l’emergenza generata dal codiv-19 come un evento igienico-sanitario idoneo a far scattare l’apparato della Protezione civile e, a fine gennaio, ha dichiarato lo stato di emergenza sanitaria. Quando il virus ha investito direttamente il territorio nazionale, è stato adottato il Decreto Legge n. 6 del 23 febbraio 2020 contenente misure urgenti per il contenimento dell’epidemia. Tra queste, sono stati introdotti una serie di limitazioni delle libertà e di altri diritti fondamentali per realizzare il “distanziamento sociale”.

L’attuazione di questi interventi è stata rimessa a decreti del Presidente del Consiglio dei ministri. In pochi giorni sono stati adottati una serie di DPCM, tra i quali il decreto del 9 marzo 2020, che regola attualmente la materia estendendo a tutto il territorio nazionale le misure stabilite per la Lombardia e alcune province di Piemonte, Veneto, Emilia Romagna e Marche. Da ultimo, il decreto che verrà pubblicato domani (22 marzo) introduce ulteriori restrizioni con la chiusura di alcune attività produttive. Con questi provvedimenti è stata fortemente limitata la libertà di circolazione, ma anche quella di riunione, così come il diritto all’istruzione, al lavoro e la libertà di iniziativa economica, nonché, almeno in parte, la libertà di manifestazione del pensiero, la libertà religiosa e la stessa libertà personale, seppur con una graduazione dei divieti e delle prescrizioni.

Si tratta della più intensa limitazione (e, in alcuni casi, sospensione) dei diritti fondamentali garantiti dalla Costituzione da quando questa è in vigore. Le misure e le procedure adottate sono costituzionalmente corrette? 

E’ lecito chiederselo. Perché l’Italia (a differenza di altri Paesi) è uno Stato costituzionale di diritto e non un regime totalitario. 

Lasciamo agli esperti di diritto costituzionale dare una risposta. Limitiamoci ad alcune riflessioni.

La prima riguarda la disciplina sulla protezione civile (decreto legislativo n. 1 del 2 gennaio 2018). Innanzitutto, la dichiarazione di emergenza non prevede una fase parlamentare. Inoltre, tale normativa è stata concepita per emergenze di altro tipo (soprattutto calamità naturali), non di tipo sanitario. Ed infatti, non individua provvedimenti limitativi dei diritti fondamentali, tanto che il Governo è intervenuto con decreto legge.

Questo decreto – e passiamo al secondo spunto di riflessione – autorizza limitazioni ai diritti fondamentali in maniera molto generica, rimettendo la loro concreta individuazione, come detto, a decreti del Presidente del Consiglio. Decreti sottratti a qualsiasi controllo preventivo di legittimità, dato che non sono emanati dal Presidente della Repubblica. Inoltre, non sono sottoposti a conversione in legge come i decreti legge e, quindi, non sono soggetti neppure all’esame del Parlamento.

Un sistema problematico, che sembra privilegiare il potere esecutivo (Governo) rispetto al potere legislativo (Parlamento) lasciando, di fatto, al Presidente del Consiglio il potere di stabilire quali limitazioni dei diritti fondamentali adottare. Una forma di “delegificazione” che, seppur in una situazione estrema, non pare lo strumento più adatto per intervenire sui diritti fondamentali, pilastri del nostro sistema democratico.

Ad emergenza finita, è auspicabile una riflessione tesa ad individuare soluzioni che garantiscano pari rapidità decisionale e, allo stesso tempo, più compatibili con la nostra Costituzione. Anche in situazioni eccezionali come quella che stiamo vivendo.

 

 

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